Recensioni / Dal sangue di Gennaro al prepuzio di Gesù: il corpo dei santi moltiplica fede e miracoli

Una guida quasi turistica alle reliquie conservate nel nostro Paese fra ritrovamenti, furti, ostensioni. E qualche doppione di troppo

Corpi interi o a pezzi. Disseppelliti, ritrovati, trafugati, traslati, inumati, imbalsamati, mummificati. E poi smembrati, divisi, moltiplicati: dita, mani, gambe, piedi, teste, lingue, cuori. Ma anche, per esempio, il prepuzio di Cristo. Corpi miracolosi, adorati, pregati, invocati, baciati. Reliquie offerte alla devozione dei fedeli, al business dei mercanti, all’incredulità degli scettici, all’ironia degli illuministi, alla curiosità di tutti. Reliquie di prima classe, quelle provenienti direttamente dal corpo del santo, «ex ossibus, ex carne, ex praecordis, ex piliis, ex cineribus, ex tela imbuta sanguine», oppure di seconda, diciamo così, «indirette»: gli abiti, il cilicio, la polvere grattata dal sepolcro, la manna stillata dalle ossa, l’olio della lampada votiva e così via. Fino ai sandali di Gesù, alla Sacra Culla, alle lenticchie dell’Ultima Cena, alla spugna imbevuta d’aceto della Crocifissione.
Ecco un saggio di Marco Orletti che è una delizia dall’inizio alla fine, per credenti e non. Guida alle reliquie miracolose d’Italia è un vademecum per orientarsi fra queste testimonianze, vere o presunte, del Sacro. Un Sacro tutt’altro che trascendente, anzi a portata di vista, di tocco, di bacio. Una religiosità prêt-à-porter, per tutti i san Tommaso che non credono se non vedono.
Appunto: crederci o non crederci? Orletti è moderatamente scettico, talvolta ironico, mai irrispettoso. Certo, non rinuncia a rilevare contraddizioni anche clamorose. I denti di sant’Apollonia sono così numerosi che quando Paolo VI ordinò di raccogliere tutti quelli sparsi per l’Italia riempirono una cassetta di tre chili e mezzo.
Il Santissimo Prepuzio di Gesù (discusso, però: dal 3 febbraio 1900, un decreto della Congregazione per la Dottrina della fede «vieta a chiunque di scrivere o parlare della reliquia») sarebbe conservato a Calcata, 906 abitanti in provincia di Viterbo. Ma in giro per l’Europa ce ne sono almeno altri dodici. Per la precisione, a Santiago di Compostela, Chartres, Besançon, Metz, Hildesheim, Conques, Langres, Fécamp, Puyen-Velay, Coulombs, Charroux e Anversa. Dopo i pani e i pesci, la moltiplicazione dei prepuzi. Che dire se non: miracolo!
Ci sono anche personaggi dubbi. San Giorgio (il cranio è a Roma, un braccio a Brindisi, una mano a Varzi, e una costola del drago che avrebbe ucciso ad Almenno) forse non è mai esistito, e infatti la Chiesa lo ha declassato a «memoria facoltativa». Santa Barbara (il corpo è a Burano, la testa a Montecatini, ma senza una mandibola che si trova a Pisa. Però una mammella ce l’hanno gli ortodossi, a Novgorod) non è documentata storicamente. I tre Re Magi (reliquie estradate dal Barbarossa da Milano a Colonia, ma due fibule, una vertebra e una tibia sono ancora a Milano) forse non erano tre e forse non erano nemmeno Re.
Compaiono, ovviamente, tutte le reliquie più famose, a cominciare dalla Sindone, dalla lingua di sant’Antonio (celebre predicatore quindi, come dire, era il suo strumento di lavoro) e dal sangue di san Gennaro. Altre sono più oscure, come la goccia del Sacro Latte della Vergine conservata a Montevarchi o il Sacro Capello, sempre della Madonna, tuttora portato in processione a Palmi.
In ogni caso, l’aneddoto più divertente benché volgarissimo, da film di Pierino con Alvaro Vitali, riguarda san Gengolfo martire, poco popolare in Italia ma assai venerato in Francia e nell’Europa del Nord: del resto, era borgognone. Però nella ricchissima collezione conservata a Torino, in santa Maria Ausiliatrice, così ben provvista che fino a qualche tempo fa si esibiva alla venerazione dei fedeli una «reliquia del giorno», tipo l’analogo piatto in trattoria, c’è anche un frammento del suo corpo. Gengolfo è il patrono dei malmaritati, viste le sue disavventure coniugali con una moglie che, informa Orletti, «non aveva molta simpatia per il marito e lo considerava un idiota», mentre lui la sopportava, è il caso di dirlo, con santa pazienza. L’aneddoto riguarda appunto questa Santippe. Saputo che sulla tomba del marito si verificavano miracoli a ripetizione, la (poco) gentildonna esclamò: «Gengolfo fa miracoli? Sì, come il mio culo». E qui se ne verificò subito un altro. Lasciamo la parola all’autore: «Tanto cinismo le si ritorce contro: appena pronunciate queste parole, si sente una gran scoreggia. Così, ogni volta che la donna apre bocca, si sente una scoreggia. E non solo quel giorno, che è un venerdì, ma tutti i venerdì a venire: una squallida e fragorosa fanfara, per dirla con le parole di Roswitha di Gandersheim», autrice appunto, nel X secolo, di un Martirio di san Gengolfo.
In effetti, quanto a martirio di peggio non ci sono che certi matrimoni.

Recensioni correlate