Recensioni / Il demone di Picasso nell’analisi di Guercio

Nessuno può dire con certezza cosa sia o non sia un’opera d`arte. Analizzando i confini di questa problematica quanto stimolante condizione, è a Pablo Picasso, «il primo pittore superstar», come lo definì Robert Motherwell, e al suo “demone” creativo, che Gabriele Guercio ha dedicato un importante studio. Lo storico e critico d’arte salernitano, autore del volume Il demone di Picasso. Creatività generica e assoluto della creazione (Quodlibet), sceglie come artista-modello che anticipa, ancor più di Duchamp con i suoi ready-made, l’avvio di una sperimentazione creativa che ci pone di fronte alla mera constatazione: «Come il lavoro esonda nel non lavoro – scrive Guercio – così l’arte sconfina nella non-arte, ed entrambi sfociano in una piatta e deresponsabilizzata dimensione di creatività generica. Sono lontani i tempi in cui gli artisti fronteggiavano i papi e zittivano i re». E nel farlo sposta l’attenzione dalla ricerca di una definizione all’indagine di una modalità, di un processo. Significa, intendere la creatività come una tanto specifica quanto emblematica esperienza estetica, cioè un modo particolare di avere accesso al mondo. E per Picasso l’arte ha saputo dare ospitalità alla vita e viceversa. «Picasso – scrive Guercio – fu posseduto da un demone bifronte, che se da un lato alimentava il faustiano relativismo creativo, dall’altro lo spingeva a riconquistarsi un creazionismo artistico potenzialmente in grado di riscattare e il lavoro e l’arte». I commentatori di destra troveranno inaccettabile l’attacco alla ideologia del marketing, mentre quelli di sinistra, specialmente i post-marxisti e post-operaisti, abbagliati dalla ambigua nozione di “comune” e collettivo, non apprezzeranno il fatto che, nell’epoca del generico, la grande sfida attiene proprio alla ridefinizione di artista e opera d’arte, due concetti da tempo in disuso eppure da riconsiderare in modo nuovo e radicale, come Guercio ampiamente dimostra.