Cari architetti, andate a quel paese: fuori dalle città, suggerisce il Padiglione Italia alla Biennale 2018, a vedere che cosa succede tra foreste, borghi e piccoli centri, là dove terremoti, crisi economiche e spopolamento minacciano società' e cultura. L'invito viene da Mario Cucinella, architetto-curatore di questa edizione, che ha deciso di spegnere i riflettori sui fenomeni macro-urbani e rilanciare l'altro lato della penisola: l'Italia interna, pari al 51% dei Comuni e al 58% della sua superficie.
Cucinella non è l'unico, di questi tempi, a guardare oltre la città. «The future is in the countryside» è l'ultimo slogan di
Rem Koolhaas, che dopo aver coltivato per decenni i deliri metropolitani sta lavorando a una grande mostra sulle trasformazioni del mondo rurale. A Venezia, una prospettiva simile si trova anche nel padiglione cinese, intitolato «B.uilding
a Future Countryside».
Arcipelago Italia - questo il titolo del padiglione - comincia con un'indagine esplorativa che va dall'arco alpino alla
dorsale appenninica, con una puntata in Sardegna. Si incontrano esempi virtuosi, esposti nella prima sala, su pannelli illuminati che sembrano enormi libri aperti: una guida della provincia architettonica con indicati i rifugi eretti contro speculazione, incuria e calamità. Piccoli atti, a volte banali a prima vista - un parcheggio, una baita, una passerella
pedonale - ma in realtà decisivi per il territorio. Purtroppo sono eccezioni: «in un contesto caratterizzato dall'emergenza
post-sisma e dalla necessità di ricostruire, si trovano pochissime opere contemporanee di qualità».
Il Viaggio in Italia di Cucinella rievoca quello fatto da Guido Piovene in un paese sospeso tra ricostruzione e boom economico, per la volontà di scoprire le sfumature della realtà dietro alle cartoline. Vengono in mente anche le indagini di
Giuseppe Pagano (1936) e Kidder Smith (1955) sull'architettura rurale, vista come possibile fonte di insegnamento per i moderni progettisti. Nell'Arcipelago, tuttavia, non si cerca la lezione del passato, né si possono separare tradizione e modernità in modo netto. Si rivela piuttosto un patrimonio costruito e naturale risultato ai terremoti e cattive politiche, esodi e invecchiamento, ma anche del miracolo del web, dell'artigianato 2.0, di inediti punti di vista.
Stella polare di questa peregrinazione è l'esempio di Giancarlo De Carlo (1919-2005), con cui Cucinella si laureò nel 1987,
uno dei primi a sperimentare la partecipazione in architettura. Il curatore ha infatti creato dei collettivi multidisciplinari, armati di «ascolto attivo, gestione creativa dei conflitti, dialogo e confronto», che hanno analizzato cinque «nervi scoperti» dell'Arcipelago e disegnato altrettanti progetti-manifesto, presentati su grandi e avvolgenti tavoli di legno. Sono edifici «ibridi», con «una qualità che si esprime come empatia con i contesti, senso della misura e fattibilità»: ciò che De Carlo avrebbe chiamato utopie realistiche.
Nel Parco delle Foreste Casentinesi si cerca di recuperare la lavorazione del legno, oggi delocalizzata. Si immaginano allora
alte capanne in faggio lamellare, capaci di ospitare funzioni diverse. A Camerino, devastata dal terremoto, si pensa un modello per il futuro, replicabile altrove, con spazi di aggregazione scavati nelle viscere del centro storico. In Basilicata, invece, le condizioni speciali di Matera - popolazione ed economia in crescita - ispirano lo sviluppo sostenibile dell'entroterra. In Barbagia, l'età avanzata della popolazione stimola una concezione aggiornata dell'assistenza sanitaria, che l'architettura è chiamata a mettere in forma. Il progetto più emblematico è forse quello per la Valle del Belice, la cui ricostruzione, dopo il terremoto del 1968,è rimasta incompleta nonostante il contributo di grandi artisti e architetti a Gibellina Nuova. Simbolica è quindi la scelta di ripensare gli spazi del Teatro incompiuto di Pietro Consagra, collegandoli a un nuovo parco agricolo.
Nell'escludere la metropoli, Cucinella volta provocatoriamente le spalle a realtà come quella milanese, che da anni monopolizza la cronaca nazionale. Se a Milano trionfano musei e grattacieli di archistar straniere, il Padiglione Italia mette in scena architetti a chilometro zero, e anzi ne diluisce il protagonismo nella molteplicità delle competenze e delle responsabilità. Ma il vero problema non sono le star: nell'Arcipelago galleggia infatti un «messaggio in bottiglia» che chiede aiuto alla politica, troppo spesso assente nella difesa della qualità architettonica tramite leggi e concorsi adeguati.