Recensioni / «La nostra libertà è costata la vita ad un uomo Una terribile fatalità che mai dimenticherò»

«È una fatalità, ma è terribile. Che la nostra libertà sia costata la vita di un uomo... Non so che lo dico ad alta voce o lo penso e sento per la prima volta un dolore alla bocca dello stomaco. Non mi lascerà più per anni». Marina Premoli, il 3 gennaio del 1982 evase dal carcere di Rovigo. Apparteneva al gruppo di Prima Linea e un commando misto dei Nuclei Comunisti e dei Colp coordinato da Sergio Segio fece saltare in aria una parte del muro perimetrale di cinta del carcere femminile rodigino e oltre a lei liberò anche Susanna Ronconi, Federica Meroni e Loredana Biancamano. E nell'esplosione morì il passante Angelo Furlan. Ora Marina Premoli esce in libreria con Questa è già la mia vita (Quodlibet, pp. 232, euro 18), autobiografia fino al giorno dell'arresto, un'altra testimonianza che appartiene alla memorialistica dei ragazzi degli anni '70 che scelsero la lotta armata. Di politica si parla poco, quasi solo di striscio. È una storia intima ed esistenziale che racconta un percorso fatto di sentimenti, emozioni e dolori più che di ideologie. Ma i ricordi da ex terrorista partono da lontano e la formazione culturale e politica della Premoli, si interseca alle drammatiche sequenze di rapimenti e attentati, passando per quella lunga striscia di sangue e violenza che caratterizzò i cosiddetti anni di piombo. Con date e protagonisti. Vivi o morti. Ecco quindi il 12 dicembre 1969 la bomba di piazza Fontana a Milano. «Comincia - annota Premoli nel libro - un periodo cupo e agitato. In tutta Italia e soprattutto a Milano. Partecipo con i compagni della Rizzoli a varie manifestazioni cittadine che contestano la risposta dello Stato. Gli alti papaveri della politica, coadiuvati dalle forze dell'ordine, da subito, addossano la colpa agli anarchici. Il clima di tensione voluto riesce in pieno». E poi il 16 marzo 1978 quando le Br sequestrano Aldo Moro, presidente della Dc, e ammazzano gli uomini della scorta e il 9 maggio quando lo statista viene trovato cadavere in via Caetani. «Anche a Milano - scrive Premoli - l`aria si fa pesante, l`area antagonista degli anni `70 è in crisi. Molti spazi si chiudono, la conflittualità è quasi fuorilegge. Così noi percepiamo la risposta istituzionale filtrata dalle forze dell'ordine». Seguendo questo filo rosso che Premoli scioglie, citando come location clandestine vari covi situati in città sempre diverse, alternando stati d'animo differenti improntati comunque alla rimozione di fatti angoscianti e dolorosi, si arriva al fatidico 3 gennaio 1982. Il giorno dell'evasione. Il racconto è veramente mozzafiato. «Quel giorno - scrive - la mia vita si allinea a quelle delle compagne, tutte protese per i preparativi dell'evasione. I compagni hanno fatto sapere che faranno un buco nel muro di cinta con la dinamite messa su una macchina appoggiata al muro. In orario da concordare. Noi quattro, in quel preciso momento, dobbiamo riuscire a mantenere il cancello del cortile aperto per tre o quattro minuti. Cosa che in genere non avviene giacché è norma che il cancello venga aperto al nostro passaggio e richiuso immediatamente alle nostre spalle. Viceversa al momento dello scoppio dobbiamo poter uscire dal cortile, attraversare di corsa il prato e raggiungere il buco del muro di cinta. E la libertà. Finalmente veniamo a sapere che la data stabilità è il 3 gennaio 1982, due giorni dopo Capodanno. Alle 16,30 ora di chiusura dell'aria di quel mese. Ma perché i compagni siano sicuri che il cancello è veramente aperto, dovremo suonare una determinata canzone. Ad altissimo volume. Col mangianastri... Un'esplosione mi tappa le orecchie. La guardia lancia un urlo. Ci precipitiamo verso il cancello per rassicurarla, la spingiamo dentro il cortile. Usciamo e ci tiriamo alle spalle il cancello. Il tempo si dilata. Corriamo verso il prato. Voliamo verso il fumo, oltre il quale si scorge il buco nel muro... Fuori, fumo, rottami. Compagni che corrono con le armi in pugno. Una scena impressionante. Giro un angolo e mi trovo su un furgone pieno di compagni e confusione, che sgomma via. Dopo poco, il primo giornale radio. Prima notizia: «evasione dal carcere di Rovigo, morto un passante». I sorrisi si spengono sui volti. Nessuno parla più. «Com'è potuto accadere? Abbiamo avvisato tutti di allontanarsi per esplosione di mine per dei lavori in corso, dice il compagno responsabile dell'evasione». Il morto è Angelo Furlan, che non doveva morire.