Recensioni / Moliterni, il romanzo diventa "impersonale"

Lo scrittore lucano Roberto Moliterni inventa un nuovo tipo di romanzo. Lo si può chiamare "romanzo impersonale" e vedremo perché.
Moliterni, con il suo recentissimo La casa di cartone (per la prestigiosa Quodlibet), fa narrazione in qualche modo sperimentale. Ma non ci sono flussi di coscienza nei quali immergersi, non ci sono invenzioni lessicali alla Rayrnond Queneau da decrittare né riflessioni gnoseologiche su cui meditare. Il suo sperimentalismo è non sullo stile, sui contenuti, sulla trama: è sulla persona del narratore. A raccontare non è la terza persona o la prima singolare, ma un "noi". Non è certo la prima volta, si dirà. Vero: da Gustave Flubert a Ernest Hemingway, da Vasco Pratolini ad Alessandro Baricco molti scrittori hanno scritto come "noi". Ma il "noi" di Moliterni è diverso: non appartenenza familiare o solidarietà di gruppo; non contrapposizione fra comunità fortemente identitarie né simbiosi fra soggetti formalmente separati. No. Il "noi" di Moliterni è universalità. È come va il mondo. È il comune denominatore di buona parte delle storie d'amore. Perché è il "noi" di una coppia, i cui ruoli - al di là di qual che vaga e trascurabile notazione di genere - sono intercambiabili. Potrebbe peraltro applicarsi a coppie etero o omosessuali. È la spersonalizzazione del soggetto, non perché coppia ma perché modello generale di coppia. L'Idea della Coppia, potrebbe dire il filosofo pensando alle idee platoniche (il cavallo come riflesso imperfetto dell'Idea di Cavallo eccetera). Ma di ideale qui c'è poco, e la stessa formula di coppia è destinata - forse per sue caratteristiche interne, forse per questioni culturali - a naufragare. Il romanzo è strutturato in capitoli ognuno dei quali porta il nome di un oggetto dell'Ikea, la falegnameria-monstre del mondo che dalla Svezia ha invaso le nostre case e le nostre vite, uniformando entrambe. E a ognuno di questi prodotti - dal letto Tarva (quello degli studenti contrapposto ai più consistenti Malm o Hermes) al tavolino Lack che trasforma gli esseri umani in larve da divano, dall'armadio Sesta al copripiumino Vinter impossibile da riempire, fino a Mulig, quello che un tempo si chiamava "ornino" e che Moliterni definisce "uomo morto", utile ad appendere di sera i panni da rimettere il giorno dopo - a ognuno di questi prodotti, dicevamo, è collegata una fase della storia d'amore. Il libro si apre su panorami digitali, su ambienti social che sembrano allungare le proprie ombre sul libro. Ma ci si accorgerà presto che, nonostante la pervasività di Facebook, WhatsApp eccetera, a tenere banco e dirigere il cammino sono dinamiche antiche almeno quanto è antica la civiltà industriale. I due componenti della coppia, ancora ignari l'uno dell'altra (ma sono sempre e comunque "noi"), si cercano nell'etere, incrociandosi nelle chat. A muoverli è esplicitamente il desiderio sessuale. Si entra presto in argomento, con allusioni più o meno esplicite. Fino all'incontro fisico. E al primo innamoramento. Ma il romanticismo è bandito da questo libro. Prevalgono invece i momenti - realisticamente - spoetizzanti. Come quando si guarda l'altro dormire: «E' un momento sopravvalutato, non c'è niente di poetico in una persona che dorme: di solito, quando non russa, ha la faccia sgomenta e un filo di bava alla bocca. Però, siccome lo hanno detto nei film, ci sembra bello lo stesso. E sorridiamo». La narrazione del mondo propagata dai media ha la meglio non solo sulle nostre abitudini, ma anche sulle nostre convinzioni. Si va avanti così per tutto il testo, spiegando ad esempio che «la spietatezza del capitalismo, in cui i più deboli devono piegarsi ai più forti, vince anche nelle relazioni», ed è una questione spiccia, fatta di metri quadri, tazze e spazzolini. E ancora avanti, fra sentimenti travasati in ritualità, dolci punzecchiature che perdono la dolcezza e si trasformano in accuse acide, anche e soprattutto coram populo. Gli amici, le vacanze, il gatto di casa che diventerà il nostro tiranno (e non c'è da ironizzarci sopra) per un epilogo che i più avranno già compreso non per perspicacia ma per esperienza delle cose del mondo. Ma se è vero che la letteratura, quella vera, è lingua e non trama, questo libro ha un'attitudine quasi pionieristica: il romanzo non della Storia (quella pomposa con la maiuscola) né di una storia (quella interessante ma con la minuscola) bensì delle storie. Di tutte, o quasi, le storie. La lingua è attenta ma piana, non scevra da raffinatezze ma anche da asprezze che non suonano gratuite. Un solo appunto: a un certo punto i protagonisti attendono accanto a un telefono una chiamata, ansiosi, balzano a ogni squillo e sono delusi a ogni risposta. Una scena che andava bene con la Sip, ma che oggi sembra preistoria. È un romanzo, questo di Moliterni? Forse. O forse è un genere nuovo, un "saggio non scientifico", non certo un "romanzo non fiction" (non ci sono casi di cronaca alla base), non propriamente un pamphlet. Un romanzo saggio. Lasciando alla seconda parola funzione di sostantivo ma anche di aggettivo.

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