Recensioni / Ungaretti e Montale duemila armi fa Latini "sconosciuti"

Letteratura latina inesistente (Quodlibet, 194 pagine) è la parodia di un manuale che illustra in ordine cronologico generi, correnti e autori latini accumunati dal fatto, «meramente contingente», di non essere esistiti. Ne è autore Stefano Tonietto, padovano, docente di liceo, già impegnato a celarsi come curatore (ma in realtà prode autore) di un lavoro orgogliosamente inattuale come il vasto poema comicavalleresco Olimpio da Vetrego (Inchiostro, 1099 pagine), 64 canti per 4633 ottave di endecasillabi in rima. Nella sua seconda opera Tonietto, si diverte a inventare scrittori, filologi, ricercatori, traduttori, convegni (il Congresso Internazionale di Tolleranza e Pacificazione di Grozny - Cecenia), riviste (l'Arbre Philologique) e ogni circostanza che renda credibile l'incredibile. I nomi dei suoi personaggi sono una gioia in sé: lo storico della Chiesa Pulcino Pio, il diacono Evidenzio, il grammatico Consecutio, il senatore Manubrio Glucosio Defenestrato, il filologo complottista Pietro Randello, lo studioso Gaio Frozio, autore di De altera Venere, e così via. Per le sue strategie di depistaggio, elusione e allusione, il professore si abbevera alla genialità di Borges, anche se non gli si può riconoscere quella impermeabile timidezza che dissolveva il poeta argentino dietro alle sue eleganti sintesi del reale. Ma le genealogie sono meno interessanti del risultato: Letteratura latina inesistente è un libro brillante. Rideranno i colleghi di Tonietto, i liceali di oggi e quelli di ieri. Forse rideranno meno «i prossimi dj e le prossime fashion blogger» a cui l'autore ha ironicamente dedicato il lavoro. Il libro, diviso in cinque parti, racconta questa letteratura latina potenziale dalle origini al tardo impero. La permanenza della saggezza popolare è testimoniata da antichissimi e anonimi carmina come De veteri gallina bonum ius (Da gallina vecchia buon brodo) o Pluit, consules fures (Piove, consoli ladri). L'età cesarea regala poeti di impressionante modernità, come Aulo Pinna al cui talento pare si rifacciano esiti lirici molto posteriori, se è vero che lo si indica autore di frammenti quali Inluminor immensitate (M'illumino d'immenso) o Et subito vesperascit (Ed è subito sera). Ecco poi le risposte di Lesbia ai carmi di Catullo o le opere di letteratura poliziesca latina bene cocta (hard boiled) di Indizio, il cui investigatore Spartaco interroga un sospettato a suon di imperativi irregolari (Dic, fac, fer! - Di', fa', porta!). L'età augustea registra l'affermarsi dell'elegia di protesta del ligure Faber, o dell'insubre Aetius (Ego quoque veno. Sed non tu) o dell'emiliano Parnassio, cui si deve l'Elegia venefica (L'avvelenata), ma anche dei libera verba (parole in libertà) dei futuristae (Non est modus in rebus!). Dell'età imperiale i favolisti Aquilino e Cazio che, al contrario di Fedro, rappresentano esseri umani che si comportano come animali per deprecare le abitudini di quest'ultimi e non dei primi. E poi gli scrittori per viam (on the road), il mirabile De rerum iactura di Incerto Autore e le opere di Sigemundo, medico dell'esercito impegnato a decrittare le ragioni, che oggi definiremmo psicanalitiche, degli episodi di vigliaccheria tra i legionari.