Recensioni / E il vampiro annoiato si tuffò nel cratere del Vesuvio

L'industria del brivido sta dimenticando i vampiri? La letteratura li snobba? Che cosa sappiamo di queste creature alte e pallide, per solito vestite d'un indistruttibile mantello nero odoroso di nebbia e legno di bara? Il non essere né morti né vivi, in un certo senso surgelati, li rende espressione di un'idea post moderna dell'immortalità. Guardateli! Questi esseri che hanno superato la giovinezza senza riuscire a diventare vecchi, questi seduttori che si presentano alle loro inquietanti vittime femminili ostentando smaglianti nonché protervi denti canini e sguardi metallici hanno messo profonde radici nell'immaginario collettivo. Si possono trascurare ma non cancellare! Sono, fra l'altro, i precursori del femminicidio seriale. E vi pare poco! A questo riguardo ci illudiamo di sapere ormai tutto di questi figli della notte e viceversa ignoriamo aspetti più che mai significativi della loro storia. L'ho verificato leggendo uno dei capitoli centrali d'un catturante, originale e dottissimo racconto critico di Alberto Castoldi, professore emerito di Letteratura francese. Il libro si intitola con sottolineata e persino provocatoria originalità Epifanie dell'Informe (Quodlibet). Le pagine cui mi riferivo illustrano, interpretandone gli aspetti più significativi, la presenza dei vampiri nel Sette e soprattutto nell'Ottocento e non solo poiché risalgono alle origini di leggende, superstizioni relative ai «non morti» risalendo fino ai kolossos dell'antica Grecia. Non si pensi, per carità, a un testo pedantesco e soporoso. Al contrario, ripropone illustrandoli con vivacità testi di maestri quali Polidori e Mary Shelley soffermandosi poi su autori d'un genere prossimo al nero quali Nodier e Le Fanu. Grande spazio viene fatto doverosamente a Bram Stoker. L'aneddotica poi è di prima scelta. Qualche esempio? Chi, a cominciare da me, si è trovato a sospettare che andando monotonamente in cerca di sangue fresco da succhiare, una notte dopo l'altra sino alla fine dei tempi, un vampiro forse di non preclara estrazione letteraria giunse a tediarsi talmente della propria immortalità da non farcela più, da dirsi basta andandosi a gettare «nella bocca infuocata del Vesuvio»? Proprio cosi! Altrove Castoldi affronta un altro risvolto, senza dubbio insospettato, dell'esistenza dei "non morti": la malinconia. Si fa così posto a un vampiro descritto da Theophile Gautier, un bevitore di sangue da non confondersi con un banale succhiatore di globuli rossi, preda d'una consapevolezza tutta moderna, quasi novecentesca d'appartenere al nulla. Seguono, in perfetta sintonia con queste appena ricordate, undici pagine eloquentemente intitolate «fantasmi». La leggibilità del libro nasce da un abile gioco di specchi: la letteratura cerca spessore specchiandosi nella filosofia e questa si spoglia delle proprie argomentazioni più impegnative chiedendo aiuto alla letteratura. A fare da amalgama al discorso provvedono con sorprendente efficacia continue e imprevedibili citazioni. Dai maestri del simbolismo si passa a Bataille a Rilke, a Lévi Strauss, a Benjamin, a Valéry, a Freud, che danno insieme con altri grandi vita a un invisibile e involontario ma non passivo e innocente coro.