Recensioni / La passione di Giuliano Vangi si chiama «Barbiere di Siviglia»

Fischiettando, con andamento maestoso, Figaro ha lasciato Siviglia in... carrozza per raggiungere Pesaro, dove, in piazza Mosca lo accolgono, fra gli altri, Gioachino Rossini, Raffaello Sanzio, Federico da Montefetro, Giacomo Leopardi e una coppia di giovani sconosciuti seduti su una panchina, che si tengono teneramente per mano. Il barbiere è un po' spaesato: nella confusione della partenza e non conoscendo la geografia d'Italia, aveva pensato di essere a Napoli e di incontrare Giovanni Paisiello. Quando decide di ripartire per la Campania, Giuliano Vangi lo convince a restare. Gli spiega che, anche se Paisiello è stato il primo a farlo debuttare in teatro (nel 1782, all'Ermitage di San Pietroburgo), pure Rossini ha grandi meriti. Infatti, dopo lo spettacolo inaugurale all'Argentina di Roma, del 1816, e nonostante gli schiamazzi dei sostenitori di Paisiello, da allora è proprio lui, Figaro, il più rappresentato al mondo fra le opere del musicista di Pesaro. Il sivigliano annuisce convinto. E Paisiello? Ci sarà un'altra occasione.
Nella grande piazza - che sino a qualche anno addietro ospitava un parcheggio - il "factotum" s'addentra fra i personaggi che danno vita ad un «teatro della Memoria» (e Scultura della Memoria si intitola il gruppo scultoreo di Vangi, in ricordo di Anna Selci): dietro una maschera dorata, un personaggio pare declamare un copione in direzione di Musei civici, mentre una donna legge le prime pagine dell'«andante maestoso» del Barbiere di Siviglia incise nella pietra.
Un omaggio a Rossini - che a Pesaro ha avuto i natali, per i 150 anni dalla morte (1792-1868) - e ad altri grandi del passato (che «si erano allontanati dalla città, in ragione dei numerosi impegni "generazionali" da svolgere, ognuno nel proprio ambito disciplinare, lungo il trascorrere dei secoli», spiega Mario Botta in catalogo). Di Rossini si ricordano anche la passione per la tavola (oggi più che mai di moda) e per i vini, a proposito dei quali si racconta che, nel 1864, al barone Rothschild che dalla Francia invia al musicista alcuni grappoli dei suoi vigneti, l'autore de La gazza ladra nel ringraziarlo, gli ricorda di non amare «il vino in pillole» (e Rothschild gli fa avere delle bottiglie di rosso della sua tenuta di Chateau-Lafite).
Piazza Mosca per il Teatro della Memoria di Giuliano Vangi, ma anche il Centro arti visive Pescheria e la Galleria Ca' Pesaro (sino al 10 giugno). Sculture - pietra, bronzo dorato, nichel, cristallo - e disegni preparatori (dal 2000 ad oggi, a parte un paio di lavori di anni precedenti).
Vangi, toscano di Barberino del Mugello (1931), fa parte della generazione di Floriano Bodini ed Augusto Pérez. Pesaro, sua prima sede, nel '51, come insegnante all'Istituto d'arte, è la città in cui ha scelto di vivere (assieme a Pietrasanta, dove ha una casa-studio). Dopo la parentesi brasiliana astratta ('59-'62), Vangi ha iniziato un viaggio non attorno, ma dentro l'uomo, girovagando per il mondo: dall'Egitto all'Etruria, con lunghe soste in Medio Evo e Rinascimento, per arrivare a cogliere, in epoca contemporanea, la tensione di un Francis Bacon o il connubio uomo-natura di Henry Moore.
Risultati? Una straordinaria capacità di fondere classico e moderno, realismo e grottesco, stendendo su tutto - novello alchimista - una patina accattivante di sapore antico. Quel sapore che Erich Steingräer aveva definito di «raffinato primitivismo» espressivo, rintracciabile nella tradizione toscana sia in Vangi che in Marino Marini. Con una differenza: il realismo dello scultore di Barberino potrebbe essere una forma di surrealismo sui generis.
Insomma, Vangi fa un'operazione suggestiva: recuperati i miti, riesce a posporli in epoca contemporanea. Si vedano, a Pesaro, L'uomo e il caprone (2003), il gruppo aggrovigliato di Katrina (2014: l'uragano abbattutosi sugli Usa nel 2005), L'uomo seduto su poltrona di cristallo (2016). Non bisogna dimenticare l'esordio dello scultore toscano: la stilizzazione geometrica iniziale. Successive verifiche e prese di coscienza gli hanno permesso non di descrivere, ma di scandagliare le radici dei suoi personaggi, di coglierne l'humus e, quindi, la sacralità.
Ecco perché spesso le sue statue conservano la compostezza solenne e ieratica degli antichi riti. Insomma, l'antichità rivive nel contemporaneo ma con una differenza: Vangi costruisce il personaggio fuori d'ogni spazio e tempo e lo immerge in un'atmosfera enigmatica, tendendo sempre di più a spogliarlo dei motivi ornamentali, degli orpelli. Da qui, una sorta di meditazione, di misticismo quasi, che, come una palla da tennis, lo rimanda più volte alle origini, per tornare indietro e guadagnare, così, il campo del proprio set estetico. Ma da campione.