Recensioni / Recensioni: Fototesti. Letteratura e cultura visuale

Se la cultura contemporanea è contraddistinta non solo da una diffusa intermedialità, ma anche da una crescente rimediazione, da intendersi nei termini di rappresentazione/ripresentazione di un medium da parte di un altro medium, si intuisce come in questo pulsante orizzonte possano prendere forma nuove sfide metodologiche ed ermeneutiche per la critica letteraria. Questa disciplina già di per sé plurale viene infatti oggi a misurarsi con un inedito scenario di interattiva fluidità che ha spostato la pratica letteraria dalla percezione di un’epocale marginalizzazione nei territori di una multiforme narratività partecipata; si tratta, pertanto, di ricercare una nuova collocazione euristica mantenendo riconoscibile lo specifico testuale senza assolutizzarlo in testocentrismo. Al riguardo, una delle strade che la critica più avvertita ha recentemente percorso è quella dei visual studies, dei quali in Italia un promotore di primo piano è stato senz’altro Michele Cometa, già autore di fondamentali contributi come La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale (Cortina, 2011) e in questa occasione coadiuvato da Roberta Coglitore nel raccogliere nove lavori di studiosi e studiose dedicati ai fototesti, una di quelle forme miste che «vivono della tensione e spesso dalla contesa di verbale e visuale, da sempre presenti nelle letterature di tutte le latitudini, [ma che] assumono oggi un carattere del tutto particolare» (p. 7). Sebbene relegato in terza posizione dalla scelta di organizzare nell’ordine alfabetico dei cognomi di autori e autrici la successione dei capitoli, il saggio di Cometa costituisce in realtà, come era del resto prevedibile, l’introduzione teorica del volume. In particolare, dopo aver situato l’innovazione mediale della fotografia nel più ampio orizzonte tipologico e cronologico degli iconotesti, lo studioso mira a definire tre retoriche fototestuali: le retoriche dello sguardo, che dovrebbero «interrogarsi su tutte le implicazioni che lo sguardo fotografico può avere per la letteratura» (p. 79), le retoriche del layout, «che attengono a fenomeni come l’impaginazione, ma spesso anche a strategie che si svolgono fuori della pagina» (p. 82), e le retoriche dei parerga (paratesti), «parte fondamentale del dispositivo comunicativo di un fototesto giacché […] è impossibile distinguere nella sua fruizione l’atto della visione dall’atto della lettura […] di titoli, didascalie, note, firme, appendici, commenti, indici, legende, etc.» (pp. 88-89). Di qui Cometa passa poi a descrivere le tre forme chiave del fototesto: «la forma-emblema, la forma-atlante e la forma-illustrazione» (p. 95), a partire dai «dispositivi che la fotografia ha semmai arricchito e rifunzionalizzato costantemente» (ibidem). Mentre la prima ripropone la dialogicità classica di inscriptio, pictura e subscriptio come titolo, immagine e didascalia e l’ultima sostanzialmente rimotiva l’ekphrasis richiedendo «il grado più basso di partecipazione del lettore» (ibidem), particolare rilevanza nel sistema mediatico contemporaneo riveste la seconda forma, in quanto «riduce al minimo la volontà autoriale e crea un campo di tensioni semantiche in cui il lettore può – se vuole – giocare un ruolo più determinante» (ibidem) sfruttando le possibilità di assembramento rimediale e di creazione di un racconto per immagini aperte dalla cornice dell’album fototestuale. Cometa individua poi nel nesso con la rappresentazione della memoria una decisiva costante dei fototesti, come è confermata da alcuni dei case studies che compongono il volume: dallo sperimentalismo di Georges Perec e Cuchi White, oggetto del lavoro di Cammarata, che mostra come la rifunzionalizzazione novecentesca del fototesto poggi sui «temi della testimonianza, della memoria e della loro stessa perdita» (p. 9) non meno che sulla messa in discussione della loro referenza storica e personale, alla problematicità del «nuovo patto foto-autobiografico» (p. 68) nella fenomenologia contemporanea rilevata da Coglitore, specie in rapporto alla questione del fare proprie le immagini di sé scattate da altri, e alla matrice autobiografica con foto di famiglia sospese fra aide-mémoire e «costruzione della propria identità» (p. 204) nella vicenda di Nuovo romanzo di figure di Lalla Romano su cui si è incentrata Primo.
Nonostante la più o meno marcata distanza fra autori e testi presi in esame nei capitoli, evidente sin dall’indice, tiene insieme il progetto di Fototesti l’adozione di una prospettiva che coniuga lo specifico ambito disciplinare (l’italianistica, la germanistica, la francesistica e così via) con un comune approccio dettato dalla iconic turn di W.J.T. Mitchell, vero nume tutelare dell’operazione, ma anche dal più specifico Iconotextes di Alain Montandon (1990), a cui non a caso il volume è dedicato. Per questo, quando nella Premessa leggiamo che l’incontro di testi e immagini «aiuta i teorici della letteratura a sfuggire alla loro congenita testolatria e ad affrontare forme della scrittura letteraria che di fatto sono state forcluse nella teoria e nella storia letteraria tradizionale» (p. 7), ne deriviamo anche l’indicazione che, per quanto refrattaria possa essere l’ala più conservatrice degli studi letterari, è una teoria letteraria che non abbia timore di rinnovarsi a contatto con gli stimoli della contemporaneità a costituire la via regia di una critica che voglia uscire dall’impasse del persistente dualismo fra apocalittici e integrati nell’universo culturale in cui siamo immersi.