Recensioni / Prima castelli e vigne poi la lotta armata

L'impietoso racconto autobiografico di Marina Premoli Tra Mezzocorona e il '68, la depressione e Prima Linea.
Le ferite degli anni di piombo sono ancora aperte. La riprova, ce ne fosse stato bisogno, nei giorni scorsi, a ridosso del 40esimo anniversario del caso Moro. Dove la voce di alcuni (ed alcune) di coloro che impugnarono le armi per rovesciare lo Stato borghese delle multinazionali è apparsa poco rispettosa del dolore procurato, quando non persino altezzosa. Eppure nel profluvio delle pubblicazioni (e dei film e dei documentari e delle inchieste) che rendono sterminata la bibliografia sugli anni della lotta armata in Italia, qualcosa che si distacca e segnala, c'è. E ci mostra come sia possibile un racconto dolente, maturo, per niente autoassolutorio, anche da parte di chi scelse la via delle armi. Appartiene dunque alla sfida riuscita di raccontare in modo narrativo, non ideologico, la memoria autobiografica di Marina Premoli. Che impugnò le armi con quelli di Prima Linea - il gruppo che scambiò, parole loro, «il tramonto con l'alba» - senza peraltro mai sparare un colpo. Che però era tra le quattro donne fatte scappare dal carcere di Rovigo, il 3 gennaio del 1981, con un'azione che causò la morte di un ignaro pensionato. Questa, anche, è già la vita di Marina Premoli, che racconta senza retorica alcuna, cambiando tutti i nomi tranne il suo, nulla nascondendo. Non l'agiata giovinezza, tra Genova, Roma e Venezia, ma anche soggiorni a Londra, Parigi e Bruxelles, il padre senatore liberale, la scuola privata, l'educazione borghese, le vacanze estive tra il castello di famiglia a Malosco, in val di Non e le vigne di Teroldego a Mezzocorona. Non l'approdo a Milano, nel '68 e dintorni, il lavoro nelle case editrici, gli incontri e gli amori, l'ombra della depressione, la brutta bestia dell'alcolismo. Non la scelta della lotta armata, gli anni della clandestinità, l'inevitabile sconfitta, il carcere per lunghi anni a Rebibbia. Non il recupero, la fine pena, l'approdo al lavoro di brillante traduttrice ed ora il racconto di una vita che diventa occasione preziosa per poter leggere, finalmente, cosa abbiano concretamente rappresentato gli anni di piombo. Nei sentimenti, nei gesti, nei rapporti con le persone, nei sogni (che scandiscono i 49 densi capitoli del libro) e nelle paure, nelle illusioni e nelle vigliaccherie. Quello di Marina Premoli è libro importante. Spietato, soprattutto con se stessa.