Recensioni / Scrittori e confini

Un foro, un poro. Suda la materia attraverso, la studia, nel peso molecolare di un punto di vista epidermico. Così, solo Giorgio Vasta; che fa della pelle biografia, del dissolvimento la ricostituzione del sé. Accade stasera: il direttore creativo della rassegna «Book Pride», palermitano di stanza a Torino: ore 21, salone della scuola elementare di Pian Camuno, l'inizio di «01 treConfme». Al Festival primaverile della cultura ibridata (letteratura, cinema, musica, teatro, poesia) e itinerante (Valcamonica e Sebino, i paesi della sponda bresciana e bergamasca del lago d'Iseo) serve il debutto sensorio di un uomo curioso.
«Il nome della rassegna è un'espressione che mi piace - racconta l'autore di Absolutely nothing (Quodlibet-Humboldt) sovrapponibile al titolo di un romanzo di Cormac McCarthy. Il racconto di uno spazio trafitto da costante interdizione è ciò che più mi ha interessato negli ultimi anni. Al confine va incontro il soggetto, vitale, incapace di sottrarsi a un nomadismo conoscitivo: non un'esperienza contingente quanto un modo di stare al mondo».
Quello costruito da Stefano Malosso, direttore artistico della manifestazione, video-maker già firma di «Bresciaoggi», si consacra al limen rifuggendo la monotematica; eppure diversi relatori, da qui al 9 giugno, rifletteranno sul concetto di soglia.
«Poiché è un paradigma - spiega Vasta -. Riteniamo di poter marcare una linea che distingua il vero dal falso, non è possibile. In ambito letterario il confine si traccia sulla polvere perché allo scrittore non interessa l'inequivocabile, il cemento lo metterebbe in imbarazzo. Stasera proporrò un'escursione alternando letteratura, cinema e fotografia», con «F For Fazel», ipertesto audiovisivo ispirato al viaggio nei non-luoghi dell'America coventrizzata - da Los Angeles a New Orleans, al centro il sabbioso nulla.
«Fazel sarà Virgilio, paradossale Caronte. È una persona fisica, esiste, è un fotografo di talento cresciuto tra Utah, Indiana e Tehran. Tuttavia ha caratteristiche tali che da quando l'ho conosciuto, nel 2013, ho capito di poterne fare un personaggio, quasi un emblema». Da Absolutely nothing ad absolutely nobody. Dopo aver passato ore di vischioso disagio sul crinale tra due stati, dissipandosi allegoricamente entro le conche del vuoto, l'autore ricorda l'abbandono dei luoghi desertici nell'abbandono esistenziale «tipico dell'età adulta. Il momento del raccolto, il tempo del consolidamento, dell'acquisizione, in me si fa vulnerabilità, lacuna - ammette -. Ho deciso di vedere tutto ciò non come un'anomalia ma come una rivelazione entusiasmante». La stessa che veste la sua identità «abusiva», un anti-priapismo in via d'estinzione. «Ho scritto cose, nel corso del tempo, mi fa piacere che le abbiano lette ma non mi riesce di pensare che queste azioni producano un solco o un destino - confessa Vasta -. Sono uno scrittore per contrasto: la scrittura è un'area di appartenenza per niente eroica, indica anche tutto ciò che non ho imparato a fare, che non so, che non è accaduto ed è ancora una possibilità. Sentirsi impostore è una forma di relativizzazione molto utile. Sto come ne La signora di Shanghai, di Orson Welles. Circondato da specchi venuti male che deformano ogni cosa facendola venire bene».

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