Recensioni / Ultime dall'universo. Trovata la stella che non c'è

Il 2000 è stato l'anno della matematica, il 2005 sarà l'anno della fisica a un secolo dei tre articoli fondamentali pubblicati da Albert Einstein. A Sidney l'assemblea generale dell'Unione astronomica internazionale ha chiesto che il 2009 venga dichiarato dall'Onu anno dell'astronomia, a quattro secoli dall'osservazione che dimostrò, almeno a Galileo, che la Terra non era al centro dell'universo.
Franco Pacini ha lasciato la presidenza dell'Unione (dura tre anni, non rinnovabili) a un collega australiano, ma siccome la richiesta è stata fatta quando era in carica un italiano, ora tocca al governo italiano presentarla all'Onu. Se sarà accolta, com’è probabile, Franco Pacini non resterà disoccupato: l'assemblea gli ha affidato il coordinamento delle celebrazioni in tutto il mondo. Siccome quel lavoro non gli basta, promette di impegnarsi perché in Italia le manifestazioni superino quelle dedicate a Cristoforo Colombo nel 1992. «Dopotutto Colombo ha solo scoperto un continente» dice, «Galileo ha scoperto l'universo».

Gli astronomi milanesi che avevano battezzato una stella «Gheminga» (vale a dire, «non c’è», in dialetto), non è detto che sapessero di avere toccato un punto sensibile della metafisica. Se usasse ancora riferirsi allo «spirito del tempo», allo Zeitgeist, sarebbe proprio il caso di appellarsi a quel fantasma buontempone per motivare la pubblicazione perfettamente simultanea di due traduzioni della Teoria de/l'oggetto (1904) di Alexius Meinong (1853-1920), un discepolo di Brentano che sta all'origine della scuola filosofico-psicologica di Graz, quella che attraverso Vittorio Benussi è poi fiorita anche in Italia con una genealogia che comprende tra gli altri Cesare Musatti, Gaetano Kanizsa e Paolo Bozzi, ma che a lungo ha occupato poche righe nelle storie della filosofia, almeno italiana, per risorgere inaspettatamente nella filsofia di lingua inglese degli ultimi vent' anni.
Nello scritto del 1904, Meinong parte dalla considerazione per cui anche quando un oggetto non esiste nello spazio e nel tempo, per ragioni di fatto (per esempio, una montagna d'oro o il triangolo equilatero) o perché logicamente contraddittorio (per esempio, un rotondo quadrato), se parliamo di quell'oggetto riteniamo di riferirci a qualcosa. Così come riteniamo di riferirci a qualcosa dicendo che M.me Bovary si annoiava in provincia, o che non ha mai conosciuto il Conte Mosca. Così, per Meinong, quando ci chiedono che cos'è un oggetto, e rispondiamo parlando, per esempio, di un albero o di una casa, ossia di cose presenti nello spazio e nel tempo, non lo facciamo per una ragione ben fondata, ma solo per un pregiudizio nei confronti dell'esistenza o del reale, che, sempre secondo Meinong, ha trovato ascolto anche in metafisica. Proprio per integrare questa lacuna sorge, per Meinong, 1'esigenza di una dottrina formale che tratti di tutti gli oggetti senza riguardo al
fatto che esistano o meno.
In questa teoria, la sfera generale dei Gegenstände (che è il modo più corrente in tedesco per dire "oggetti") comprende Ohjekte (obietti, che vanno dai tavoli rotondi ai quadrati passando per le chimere) e Objektive (obiettivi), ricordano da vicino le posizioni" di cui parlava Bertrand Russell, cioè il contenuto degli enunciati linguistici Gli Objekte includono tre famiglie. La prima è costituita
dagli oggetti esistenti, cioè situati nello spazio e nel tempo (alberi, tavoli, lo schermo del computer in questo preciso momento, il foglio del giornale quando leggerete voi), che sono poi quelle che con la loro presenza imponente determinano il pregiudizio nei confronti del reale. La seconda è per l'appunto quella degli oggetti inesistenti, che possono essere tale di fatto (una montagna d'oro), di fatto e di diritto
(un rotondo quadrato), oppure ex esistenti, cioè non più esistenti (1'impero romano o la passeggiata di ieri). C'è poi una terza famiglia, composta dagli oggetti sussistenti, che sono i numeri, le proprietà geometriche, le relazioni (per esempio il computer è più piccolo del tavolo, il foglio del giornale è più grande della mano), che non incontriamo mai da soli, ma sempre esemplificati in qualcosa.
Questa classificazione apparentemente barocca è tutto tranne che un esercizio futile. permette di spiegare perché io riesca a riferirmi a un cavallo alato o a un numero come a un oggetto,' posto fuori dal mio io anche se non c'è nel mondo. Occuparsi non solo di cavalli alati, ma soprattutto di numeri, relazioni, eventi passati, sarà dunque riferirsi a oggetti, e non semplicemente a menti che li pensano, con un ampliamento della ontologia rispetto a quella della psicologia e della stessa metafisica. Per motivare lo statuti di simili oggetti, Meinong pone allora una differenza categoriale tra lo psichico e l'oggettuale, ossia tra l'elemento mentale di un atto (io che penso un cavallo alato), il contenuto dell’ atto (il cavallo alato così come me lo; rappresento io, bianco e in movimento), e 1'oggetto a cui l'atto tende (ciò che voi e io capiamo quando parliamo di "cavalli alati", siano essi bianchi o pezzati o neri, in movimento o fermi).
Come ricorda Venanzio Raspa nella sue ampia e utilissima introduzione, Meinong non è solo in questa impresa, visto che opera in un periodo che, soprattutto retrospettivamente, appare caratterizzata da una grande effervescenza ontologica. Una teoria formale degli oggetti era stata elaborata, in quello stesso giro d'anni, sia da Husserl sia da un altro allievo di Brentano, Twardowski. E, contrariamente a quello che Meinong credeva, la metafisica nel suo sviluppo storico era stata tutt'altro che indifferente al problema, che si pone anche nella esperienza più semplice, quella, appunto, che ci impone, per negare 1'esistenza di un rotondoquadrato, di pensarlo come un oggetto, altrimenti negheremmo l'esistenza non di un rotondoquadrato, ma di qualcosa di indeterminato, forse di qualsiasi cosa. Rispetto ai suoi predecessori, tuttavia, Meinong, con la denuncia del pregiudizio nei confronti del reale, ha per l'appunto il merito di attuare una rivoluzione copernicana, denunciando come un pregiudizio ciò che ai più appare come una solida ovvietà, senza pensare che, se fossero coerenti sino in fondo non potrebbero capire una frase come : «Oggetto: richiesta di un visto per gli Stati Uniti», dove 1'unica cosa davvero fisica in tutta la frase sono gli Stati Uniti, non il visto, che non c'è ancora, né la richiesta, che è un atto sociale che esiste nel tempo ma non nello spazio.
Bertrand Russell, nel 1905, critico la teoria di Meinong vedendoci una contraddizione in termini: non ha senso parlare di oggetti inesistenti, e una contraddizione in termini. Se almeno ci manteniamo alla formulazione fornita da Russell nei Principles of Machematics del 1903, e poi variamente modificata, invece che classificare quello che non c'è, è opportuno tenere presente, con solido buon senso, che la sfera dell"'essere" è piu ampia di quella dell"'esistere" come posizione nello spazio e nel tempo: sono così ammessi i cavalli alati, non i rotondoquadrati. Con la sua polemica, tuttavia, Russell decretava la fama di Meinong al di là di Graz e di un impero che di lì a poco sarebbe diventato un oggetto inesistente in quanto ex esistente. E dava avvio a un processo che, nell'arco di un secolo, ha riportato Meinong sulla ribalta del dibattito su ontologia e metafisica, le cui implicazioni teoriche sono ben rivelate da Ulisse, il quadrato rotondo e l'attuale re di Francia di Francesco Orilia, che ha tre meriti principali. Il primo è di fornire una ricostruzione teorica del confronto tra Russell e Meinong. Il secondo è di argomentare le ragioni della resurrezione di Meinong alla fine del Novecento, prima negli anni Settanta con Routley, Parsons e Castañeda, e poi, negli anni Ottanta, con Rapaport, Zalta, Fine, Jacquette e Pasniczek, dove si è assistito a una riformulazione della teoria di Meinong capace di sottrarla alle critiche di Russell. Il terzo, infine, è di fornire una convincente teoria che coniuga l'approccio di Russell con alcuni fondamentali desiderata meinonghiani, potendo così rendere conto di questioni aperte, a partire da quella, cruciale, dello statuto degli oggetti letterari, cioè appunto di ciò a cui ci riferiamo quando diciamo che M.me Bovary non conosceva il Conte Mosca.