Recensioni / Una macchina perfetta chiamata Art Ensemble of Chicago

Se un difetto si poteva trovare in A Power Stronger Than Itself, il monumentale riferimento sulla vicenda della chicagoana Association for the Advancement of Creative Musicians allestito da George Lewis (2008), era quello, con la sua postura accademica di impronta anglosassone, di mancare un po' della capacità di trasformare la mole di testimonianze, informazioni, questioni in un racconto avvincente. Un rischio che non corre invece il libro con cui Paul Steinbeck ripercorre l'avventura del più importante e popolare gruppo espresso dalla AACM: pubblicato negli Usa nel 2017, è reso disponibile in edizione italiana da Quodlibet, come prima uscita della collana Chorus, col titolo Grande Musica nera. Storia dell'Art Ensemble of Chicago (400 pp., 25 euro). La ricostruzione di Steinbeck, docente universitario e musicista, è basata su una minuziosa documentazione e una approfondita conoscenza della produzione dell'Art Ensemble, ma è anche animata da una felice qualità “narrativa”: il lettore viene preso da una epopea in cui via via entrano in scena personaggi formidabili – Lester Bowie che sotto le armi gestisce scommesse e reagisce a revolverate ad un modo di fare razzista, Joseph Jarman tra Vietnam, problemi psichici, buddismo e arti marziali... - a cui ci si affeziona come ai protagonisti di un romanzo. E il libro rimane chiaro e scorrevole anche nei densi capitoli dedicati ad una serrata disamina di tre momenti emblematici della poetica dell'AEOC, l'album A Jackson in Your House, registrato nell'epocale estate parigina del '69, venti giorni dopo essere sbarcati in Francia, e due live del '72 e del '81.
Steinbeck mostra come la premessa decisiva dell'esperienza dell'AEOC sia la logica sociale e comunitaria dell'AACM, su cui il gruppo si forma tanto nella sua ispirazione come nei suoi meccanismi di funzionamento. Uno dei motivi di maggiore interesse del libro è l'insistenza sugli aspetti cooperativistici, gestionali e organizzativi della vita dell'AEOC: l'atteggiamento è visionario, ma ben piantato dentro una grande concretezza nel rapporto con le cose. In un momento in cui l'Art Ensemble è ancora sconosciuto a New York, Bowie ha la geniale intuizione della trasferta in Francia come precisa strategia di proiezione mondiale: e non si limita a profetizzare il successo internazionale, ma anticipa i soldi necessari. Steinbeck sottolinea persino, a più riprese, un elemento certo piuttosto fuori dalla nostra ottica: l'importanza, in termini di disciplina di gruppo, di mentalità organizzativa, di capacità di risolvere situazioni pratiche, dell'esperienza militare o addirittura bellica di quattro su cinque dei membri dell'AEOC: dalla vita in tenda nelle tournée del primo soggiorno europeo, alle carabine che i cinque musicisti neri tengono prudenzialmente sul furgone nei loro spostamenti negli Stati Uniti. Basilare la dialettica collettivo/individuo, con un rispecchiamento fra livello della performance (intesa di gruppo e autonomia individuale) e gestione delle attività (da un lato impegno nell'AEOC, dall'altro libertà di sviluppare progetti personali).
Steinbeck mette inoltre in risalto l'aspetto che chiama “intermedia”, cioè dell'utilizzo di mezzi espressivi che vanno al di là della musica (teatro, poesia, costumi), e ne indica la genesi dentro il contesto delle avanguardie non solo musicali dell'epoca in cui il gruppo è nato (per esempio il rapporto di Joseph Jarman con la poesia di area beat, con l'happening, e il suo contatto con Cage).
Tra le pagine più godibili del libro quelle sulla prima ricezione francese dell'AEOC. Steinbeck ricorda l'equivoco di un'avanguardia nera identificata tout court con la militanza rivoluzionaria afroamericana, e ne ricostruisce il background in tutta una storia francese di orientalismo, rapporto con l'art nègre, eccetera. Ma è anche vero che i guai dell'AEOC in Francia cominciano con un concerto del '70 in piena Parigi a sostegno del Black Panther Party...
Di fronte ai giornalisti francesi, l'AEOC si smarca dal cliché dei musicisti neri che fanno musica nera e rivendica provocatoriamente di suonare qualsiasi tipo di musica. Ma quando poi l'Art Ensemble deciderà di adottare un motto per la propria musica, sceglierà la formula Great Black Music: un concetto inclusivo, potenzialmente in grado di inglobare forme musicali di qualsiasi provenienza, ma vissute alla luce di una pratica musicale nera.

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