Recensioni / Nietzsche a Wall Street: il mezzo fa parte della verità

«Poi, con l’aiuto dell’età, grazie anche alle esperienze accumulate, parvero aderire un po’ meno ai loro fervori più esacerbati. Seppero aspettare, e abituarsi. Il loro gusto si formò lentamente, più sicuro, più ponderato. I loro desideri ebbero tempo di maturare; la loro cupidigia divenne meno astiosa. […] Erano lieti di pensare che l’immagine che si creavano della vita si era lentamente ripulita di tutto ciò che poteva avere di aggressivo, di manierato, talvolta di puerile. […] Ritenevano di signoreggiare sempre più i loro desideri: sapevano quel che volevano, avevano le idee chiare. Sapevano ciò che sarebbe stata la loro felicità, la loro libertà.
Eppure s’ingannavano; stavano già precipitando verso la rovina. Cominciavano ormai a sentirsi trascinati lungo un cammino di cui non conoscevano né le svolte né la meta. A volte avevano paura. Ma, più spesso, erano solo impazienti: si sentivano pronti, erano disponibili: aspettavano di vivere, aspettavano il denaro».
Così sono descritti Jérome e Sylvie, i due giovani protagonisti – incoscienti, internamente incoscienti – delle Cose. Una storia degli anni Sessanta di Georges Perec, pubblicato in Francia nel settembre del 1965 (e tradotto in Italia l’anno successivo). Il romanzo di Perec ha un fondo sociologico e, in particolare, affronta la percezione e l’influenza del capitalismo sulla vita delle persone: la consapevolezza dei meccanismi del sistema capitalistico fa cadere il velo dell’innocenza e dell’istintività e mette in atto una «forma sociale di contestazione».
Allo stesso modo, l’ultimo libro di Daniele Balicco, Nietzsche a Wall Street, si propone l’analisi di una serie di fenomeni e figure portanti per cercare di comprendere e ripensare la contemporaneità, soprattutto da un punto di vista sociale e culturale. Una lettura del presente secondo categorie politiche e culturali inadatte – perché inattuali e nate nel secondo dopoguerra – è secondo l’autore il vero motivo per cui l’Italia oggi non pare in grado di capirsi e definirsi.
Il libro è diviso in tre sezioni tematiche. La prima, intitolata Teoria, si concentra sulla mutazione antropologica e politica in atto, in particolare sulla centralità e la genealogia della teoria franco-americana e sull’influenza del movimento surrealista su quello che Franco Fortini (nella seconda edizione del Movimento surrealista, del 1977, antologia da lui curata con Lanfranco Binni) definiva surrealismo di massa. Nell’ultimo intervento della sezione, è affrontata la relazione tra forma estetica e potere, intendendo il verosimile estetico come espressione di una forza simbolica che ci investe materialmente, per realizzare la propria influenza, e il realismo come «lo spazio della possibilità dell’esistenza del soggetto» – usando le parole di Fredric Jameson –, quindi come la manifestazione sia di un conflitto sia del tentativo di oggettivare qualcosa che per suo statuto non lo è.
La seconda parte, Modelli, propone il punto di vista di quattro intellettuali che hanno riflettuto sul rapporto tra capitalismo ed estetica: lo stesso Fortini, Edward W. Said, ancora Jameson e Giovanni Arrighi. Italia, la terza sezione, si concentra invece proprio su quel paese inconsapevole, e perso perché non sa capirsi, che tanto somiglia ai protagonisti delle Cose di Perec.
Due sono i temi-chiave di Nietzsche a Wall Street: la separazione dalla realtà e la responsabilità collettiva e individuale rispetto al presente. Per Balicco, lo scollamento dalla realtà può declinarsi come evasione, ma anche come mezzo per problematizzare il presente. Un esempio della prima reazione è il surrealismo di massa statunitense, analizzato nel primo saggio del volume; un esempio della seconda l’estraniamento come atteggiamento critico di Fortini, che considera necessarie una presa di distanza e un’autoanalisi della propria condizione d’intellettuale (in questo senso è interessante il confronto delle posizioni di Fortini con quelle di Calvino e Pasolini).
La responsabilità rispetto al presente si declina invece come posizione onesta e problematica nei confronti della realtà – che sia cosciente della propria parzialità – e come consapevolezza che l’azione e il pensiero possano incidervi. Esemplare l’atteggiamento di Said: il quale crede, da umanista, nel potere simbolico dell’arte come strumento per muovere il presente e per immaginare scenari ancora inesistenti. O anche, avvicinandoci alla realtà italiana e riferendoci all’ultima sezione dello studio di Balicco, all’autorappresentazione dell’Italia come esempio di comportamento al contrario, che dimostra quanto una mancata comprensione del presente determini uno scollamento tra la percezione e la realtà.
Gli strumenti-guida del libro sono, in ogni caso, lo studio e l’analisi sociologica e culturale delle forme estetiche e del loro significato, nell’ottica di una reciproca influenza tra oggetto artistico e contesto socio-economico e culturale in cui si sono generate, e l’atteggiamento critico di comprensione e di ricerca.
Alla fine delle Cose di Perec è riportata una citazione approssimativa di Karl Marx: «Il mezzo fa parte della verità, come il risultato. Occorre che la ricerca della verità sia vera a sua volta; la ricerca vera è la verità spiegata, i cui membri sparsi si riuniscono nel risultato». Qui poco importa se questa frase sia riferita alla letteratura o al capitalismo. A importarci, comunque, è quell’inesauribile «ricerca della verità» che attribuisce senso a noi e alle cose che ci circondano.