Recensioni / Per un’ontologia della resistenza

La cifra cardine della filosofia contemporanea (da Heidegger a Deleuze passando per Jaspers e Agamben), se è possibile individuarne una, risiede nel tentativo di definire il proprio statuto. Tentativo che si coagula nell’icastico e iper-classico interrogativo: che cos’è la filosofia?
Il testo L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet 2017) di Eugenio Mazzarella si inserisce pienamente nel solco tracciato da questa tradizione. Sebbene l’interrogativo venga posto in un capitolo collocato al termine del volume, l’Appendice, è chiaro fin dall’introduzione – l’autore gioca a carte scoperte – che il movente teorico dell’intera ricerca di Mazzarella sia proprio un ripensamento della filosofia e del suo statuto nell’epoca di quella che egli chiama, seguendo le analisi del sociologo Beck, seconda modernità.
Se chiara è la domanda che muove la ricerca, ancora più esplicita è la risposta: «Il tema di questo libro è una pratica di resistenza. In cui fondamentalmente consiste la filosofia […] Una pratica di resistenza nel pensiero: cosa si dovrebbe fare – come si dovrebbe stare “nel” pensiero – per rimanere qui, noi gli uomini» (Mazzarella 2017, p. 7). La continuità con Vie d’uscita. L’identità umana come programma stazionario metafisico (il melangolo 2004), nonostante gli oltre dieci anni trascorsi dalla sua pubblicazione, è evidente. Anzi, è proprio la proposta avanzata nel volume del 2017, ossia l’individuazione di una pratica di resistenza nel pensiero e del pensiero, a indicare una possibile via d’uscita dal quel processo di smoralizzazione del mondo provocata dall’ipertrofia della tecnica moderna. Ma attenzione: nel testo di Mazzarella non c’è alcun intento moralistico, alcun buonismo bacchettone; l’èthos che emerge da queste pagine ha una sua base ontologica granitica.
Il lavoro di Mazzarella, riprendendo l’etimologia greca del concetto di “etica”, ricerca allora dei modi di abitare, di permanere nel mondo. Un’ontologia minima, essenziale – nel duplice senso del termine –che, presentandosi come programma stazionario metafisico, vale a dire come «un programma di resistenza identitario, meta-fisico nel senso che cerca di sopra-vivere alla physis da cui proviene e su cui emerge» (ivi, p. 134), prospetti il passaggio dall’onto-ego-logia, propria dell’età della tecnica e della seconda modernità individualistica, ad una onto-eco-logia, in cui l’accento è, invece, posto su una caratterizzazione ecologica e comunitaria tanto dell’essere quanto del logos, su cui torneremo più avanti.
Il discorso fin qui condotto rivela il profondo debito, tanto concettuale quanto semantico, contratto dalla ricerca di Mazzarella con la filosofia di Heidegger. Quando, cercando di delineare i tratti essenziali dell’uomo che deve rimanere, lo definisce «esistenza che insiste e resiste, nel sapere e tramite il sapere […] custode del frattempo che gli è dato» (ivi, p. 205), l’autore mostra a più livelli la sua profonda consonanza con il pensatore di Meβkirch.
Innanzitutto nell’idea ecologica di custodia è impossibile non sentire l’eco della ormai celeberrima figura del pastore dell’essere di cui parla Heidegger nella Lettera sull’«umanismo»; ma, ancora più forte e profondo, forse perché in qualche modo celato dalla barriera linguistica, è l’intrico tutto heideggeriano che, nella citazione appena riportata, Mazzarella intesse tra esistenza, insistenza e resistenza. Intrico che va al cuore della questione centrale del libro: l’uomo che deve rimanere. Nella lingua tedesca in questi termini – rimanere, insistere e resistere – si dipana la semantica del verbo stehen, che è presente, e non certo come hapax, in alcuni testi chiave del cosiddetto “secondo Heidegger”. Provando a semplificare le cose: l’uomo che deve rimanere (Stehen) è colui che fa dell’insistenza (Inständigkeit), del pensante permanere, la forma propria di resistenza (Wiederstand).
La figura dell’uomo che deve rimanere è chi deve compiere il passaggio da un’ontologia dell’individualità (onto-ego-logia) ad una ben più radicale e radicata, in quanto inscritta da sempre nell’umano, onto-eco-logia. Proprio in questo movimento, che soltanto facendo un passo indietro [Schritt zurück] permette che se ne possano compiere altri in avanti in piena coerenza col conatus sese conservandi dell’uomo, si manifesta quell’«orientamento conservatore del libro» (ivi, p. 13), dichiarato da Mazzarella in maniera programmatica. Conservare, preservare, custodire sono le uniche forme di progresso possibile; nel mondo della tecnica dispiegata, in cui gli antichi dei sono fuggiti e ha trionfato la hybris dell’uomo, «la nuova sfida della libertà è salvarla da se stessa» (ivi, p. 24). La libertà, diviene, parafrasando dei versi di un brano dei CCCP, una “forma di disciplina”.
Se la filosofia, e l’Occidente tutto, ha trovato nella polis il luogo privilegiato del proprio dispiegamento, si tratta adesso di compiere un passo indietro in direzione dell’òikos, della casa, della famiglia, di quel diritto di natura interno che, secondo Mazzarella, ha un primato non solo cronologico bensì anche ontologico rispetto al diritto di natura esterno (politico).
In altre parole si tratta di capovolgere, decostruendo i presupposti ordinativi dell’eticità hegeliana, la gerarchia tra famiglia e stato, tra òikos e polis, e individuare il primato fondativo del ghenos, rappresentato in maniera archetipica da Antigone. Se Hegel parteggia sempre per Creonte e per la legge dello Stato, per Mazzarella «nell’eroina di Sofocle questa “legge di tutti i cuori” è il diritto di resistenza in ultima istanza dell’umano in quanto umano» (ivi, p. 102). I diritti umani, allora, ancor prima che essere positivi sono «diritti in cordibus» (ivi, p. 85), inscritti nella natura umana; sono, per dirla con Mazzarella, «il farsi thesei di qualcosa di physei» (ivi, p. 90). Ci troviamo, dunque, di fronte a quello che l’autore definisce un giusnaturalismo minimo. Pensare che egli metta tra parentesi il carattere politico dell’umano sarebbe, tuttavia, ingenuo e massimamente fuorviante. Si tratta, invece, di trovare una politica altra, una politica che metta in risalto il carattere comunitario insito nella natura dell’uomo; il suo essere “naturalmente” con-esserci, proprio perché, come ha mostrato bene l’antropologia filosofica del Novecento, essere manchevole (Mängelwesen) e perciò stesso bisognoso di cura e ospitalità – «vita che è legame e cerca legami» (ivi, p. 122).
La decostruzione di Mazzarella non è, dunque, rivolta sic et simpliciter alla politica in quanto tale, bensì alla forma violenta ed escludente che essa assume nella modernità tecnica occidentale. Se la polis è nata come neutralizzazione del dato naturale, della zoé a favore dei vari bios, è necessario per l’autore superare questa separazione, che ha carattere escludente, e ricercare nella naturalità dell’uomo ciò che lo caratterizza in quanto uomo. Proprio in questo contesto risulta chiaro dalle pagine di Mazzarella perchè la possibilità di una politica altra si declini soprattutto al femminile. Al di là del carno-fallo-logo-centrismo, di cui parla Derrida per descrivere il carattere violento dell’Occidente e della metafisica tout court, il femminile è il nome della cura e dell’accoglienza in quanto tale. Esso, a livello sia biologico sia comunitario, si fa portavoce dell’invito a «riconoscere in ogni uomo il diritto a un maternage comunitario (cui s’impegna per contraccambio) in quanto uomo» (ivi, p. 87).
Il libro di Mazzarella si fa, dunque, portavoce di un forte messaggio etico – parimenti a quello di Heidegger, di natura ontologica: l’uomo è uomo nella propria capacità di resistere all’urto delle provocazioni dell’essere e del suo dispiegarsi. L’universalità di questo messaggio è dimostrata dalla scelta delle figure che Mazzarella assume come archetipi di questo nuovo tipo umano: da un lato, come abbiamo visto, l’Antigone della tragedia classica, dall’altro, Deckart e Rachel, protagonisti del film, e del libro da cui esso è tratto, Blade Runner (1982). Essi rappresentano forme di resistenza alla minaccia della disumanizzazione dell’uomo; forme residuali, ma al contempo germinali, di un’umanità che, al di là delle forze esterne (che sia lo Stato in Antigone o la tecnica in Blade Runner), mai «potrà fare a meno di una vita emotiva, dei limiti del cuore; per il semplice fatto che il bilancio dei costi e dei benefici del legame umano come umano […] è sempre in attivo; è la precondizione persino di ogni passività percepita, e patita, della propria umanità» (ivi, p. 195).