Alcuni autorevoli critici, leggo nella postfazione di Piccola antologia in lingua italiana (Quodlibet), considerano Raffaello Baldini «uno dei tre quattro poeti italiani più importanti del Novecento». Le graduatorie sono antipatiche: se nei quattro, oltre a Baldini, mettiamo (e come potremmo non farlo?) D'Annunzio, Ungaretti e Zanzotto, poi tocca mettere nei meno importanti Saba, Gozzano, Cardarelli, Marin, Montale, Penna, Bertolucci, Caproni, Pasolini... Meglio lasciar stare le classifiche, anche perché Baldini è quanto di meno competitivo. Lui che scriveva nel dialetto di Santarcangelo di Romagna, non proprio un lasciapassare per la gloria mondiale. I suoi personaggi che sono uomini comuni con piccole fissazioni, desideri usuali, i soliti rimpianti. Tutto però la parola trasfigura e la voce narrante diventa nostro fratello o di più, forse siamo noi che stiamo sognando. Ora che è facile farlo, grazie a questa versione autotradotta, che un amico lettore legga "Dany" e mi dica se anche a lui, come a me, è venuto da piangere.