Recensioni / Benedetto Croce visto attraverso le sue pagine

Nel Patto autobiografico (1975) Philippe Lejeune definisce l’autobiografia un racconto retrospettivo in prosa che una persona reale dà della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della sua personalità. E individua i generi affini all’autobiografia: memorie, biografia, romanzo personale, poema autobiografico, diario intimo, autoritratto o saggio. Nella sua Postfazione Michele Ciliberto individua l’obiettivo della ricerca di Alfonso Musci nel problema dell’autobiografia in Benedetto Croce, e specificamente del rapporto fra scritture autobiografiche e ricerca del sé. Domandarsi se l’individuo Croce sia o no affidabile comporta l’infrazione dell’esplicito divieto crociano di indagare sulla sua persona, sorretto dal precetto secondo il quale l’individuo parla, e muore, nell’opera, e solo in essa. Musci infrange consapevolmente tale divieto, proponendo «indagini» che scavano nella biografia di Croce attraverso alcuni generi affini all’autobiografia sopra elencati: memorie, lettere, biografie e diari hanno una propria consistenza nell’opus crociano. Il libro offre una tessitura che intreccia soprattutto Taccuini di lavoro e lettere con alcune grandi opere crociane. L’analisi di Etica e politica (1931), libro curato da Musci per Bibliopolis nel 2015 e del quale si ricostruisce la genesi, nella complessa fusione tra Frammenti di etica (in volume nel 1922), Elementi di politica (1925), Aspetti morali della vita politica (1928) e lo specialissimo Contributo alla critica di me stesso (1915), dà luce al quarto capitolo (Dall’autobiografia alla politica della virtù), il più importante per gli studiosi di Croce, anche per la scoperta della presenza di una corrispondenza di termini e concetti tra i Frammenti di etica e la Metafisica dei costumi di Kant.
Ma il libro tocca – tramite gli scritti crociani – un nodo filosofico di questioni psicologiche, letterarie e politiche che concerne da vicino i non specialisti. Nella Postilla. Angoscia domestica e angoscia nevrotica Musci evoca il noto saggio di Sigmund Freud Il perturbante (Das Unheimliche, 1919) per, confrontare il concetto freudiano di «angoscia nevrotica» con l’«angoscia domestica» descritta nel Contributo alla critica di me stesso. E non solo per ricordare che «il rapporto tra Croce e Freud [...] attende ancora un approfondimento sistematico», ma soprattutto per seguire con uno scavo insieme filologico, psicologico e genealogico (nel senso fornito al termine da Michel Foucault) l’indicazione proposta da uno tra gli studiosi più penetranti di Croce, Gennaro Sasso, in Benedetto Croce. La ricerca della dialettica (1975): «la concezione del “dimenticare” di Croce sta in mezzo tra la Entdusserung (alienazione) di Hegel e la Verdreingung (rimozione) di Freud». Rimozione di che cosa, se non della catastrofe e della morte che lo ha segnato da bambino con il terremoto di Casamicciola? La scoperta psicologica consiste nel riconoscere come «la ricerca del sé» produca un intreccio profondo tra autobiografia e morte che accompagnerà Croce per tutta la vita e trasparirà nella sua opera nonostante la sua risoluta e pervicace «abolizione dell’io personale»: «Sebbene con l’abolizione dell’io personale Croce sponga alla “negazione” della morte, la morte, negata o dissolta, resta per lui il grande tema della storia e della vita».
Il rapporto tra storia, vita e storiografia è illuminante nel secondo capitolo (Storia, cronaca e cosa in sé), che esamina da una lato Storia, cronaca e false storie (1912), confluito in Teoria e storia della storiografia (1917) e dall’altro Partenza di un gruppo di soldati per la Libia, scritto inedito di Renato Serra pubblicato nel 1927, ma noto a Croce al tempo della sua stesura, nel 1912. Serra realizza un saggio efficace di fenomenologia delle masse nella guerra e “narra” l’irrompere sulla scena della storia della folla irrazionale, che poggia su una radice vitale inspiegabile e incomunicabile. Un’irruzione che pervade in forme sempre più globali storia ed eventi del nostro tempo. Entrambi gli scritti pongono al centro il rapporto tra storia e vita, e il problema della “verità” nella storiografia. Croce – è noto – elabora il principio della contemporaneità di tutta la storia, anche di quella degli Ittiti. La critica crociana al concetto di tempo si orienta nella dimostrazione che «ogni vera storia è storia contemporanea», che «vibri» nell’«eterno presente in cui viviamo». Serra mette in evidenza il rapporto complesso e indecifrabile tra racconto e fatto. Musci segue le tracce della composizione del saggio crociano, mai trascurando gli indizi depositati nei Taccuini di lavoro e nelle lettere. Lo «schiavo della cosa in sé» (così Serra si presentò a Croce nella lettera dell’11 novembre 1912) impose al filosofo di Pescasseroli una riflessione profonda sulla storiografia, vivificata dal dilemma sulla possibile o meno comprensione dell’individuo nella storia. «Accanto alla morale trionfale e all’“alta etica” di Croce – sostiene Musci – si agitano nel fondo esperienze inquiete e notturne di dissenso e prende corpo una “sentimento tragico dell’esistenza”». E non è casuale il cenno a Carlo Michelstaedter e a una Postilla sul pensatore goriziano inserita negli Intellettuali italiani del XX secolo da Eugenio Garin, «che con tutto il suo lavoro ha tenuto costantemente vivo il problema del “sapere storico”», nella quale la storiografia filosofica viene liberata dalle facili suggestioni idealistiche del «lieto fine».
L’indagine di Musci scandaglia, in Croce, una dimensione psichica, etica e politica che, non casualmente, corrisponde agli anni più cupi della sua vicenda personale e della storia italiana del Novecento. La pagina dei Taccuini sulla dissimulazione è folgorante: «Ricordarsi di quel trattatello secentesco da me scoperto, Della dissimulazione onesta (di Torquato Accetto): dell’inganno che si ha il diritto e il dovere di fare a sé stessi per sostenere la vita». E Musci postilla: «Un manifesto di vita pratica per affrontare il lungo inverno del fascismo e la perdita della libertà senza coltivare l’ozio e la pigrizia delle idee di morte». Anche grazie a queste pagine, Croce ci è ora più vicino, da storico, da filosofo, e anche come cittadino.