Recensioni / Voci lontane sempre presenti

Per una piccola casa editrice di cui se potessi comprerei ogni uscita, è ora in libreria l'ultimo lavoro di uno scrittore che mi garba. Lui è Patrik Ourednik, il libro s'intitola La fine del mondo sembra non sia arrivata, la casa editrice è Quodlibet. Il senso della fine di Ourednik era già nella pièce teatrale Oggi e dopodomani - Discorsi di cinque sopravvissuti: la catastrofe non «era già con uno schianto», e nemmeno «con un piagnisteo». Era solo miserabile squallore, perché giusto quello l'uomo può permettersi. Deve essere difficile fare il nichilista, direte voi. Ma è un nichilista, Ourednik? Un moralista? Non proprio, e non troppo. Ma non è questo il punto. La legge morale dentro di me, quella che ogni direttore dovrebbe sentire, mi suggerisce pedante: «Giulio, dovresti aprire questo numero parlando del decreto anti-Netflix, o della propaganda tra gli infanti del ministro dell'interno sulla Rai, è questo che detta l'agenda». La taccio per un attimo, perché ci torneremo prestissimo, e in silenzio decido di trascrivere una paginetta di Ourednik. Il capitolo si chiama Dei francesi. Eppure, cara legge morale dentro di me, c'entra meno coi cugini d'oltralpe che con l'agenda che mi suggerivi. Con la cultura, il linguaggio, la responsabilità. Con noi. Con l'omologazione. Il sovranismo. Gli algoritmi. E l'instupídimento.