Recensioni / L'ordinamento giuridico di Santi Romano: un classico della letteratura giuridica

1. Alla seguente domanda: «Indica un classico del diritto italiano del Novecento», il 90% degli interrogati risponderebbe, senza dubbio, L’ordinamento giuridico di Santi Romano.
Questo dato fa comprendere come sia altamente meritoria l’iniziativa della casa editrice Quodlibet, perché viene finalmente ristampato e ritorna fruibile il maggior contributo alla teoria generale del diritto dell’ultimo secolo. E ciò proprio in occasione dei cento anni dalla prima edizione (dell’editore Spoerri di Pisa, nel 1918) e a distanza di settantadue anni dalla edizione del 1946 (della Sansoni di Firenze), ristampata poi nel 1951.
Che cosa è un classico, cosa si intende con questo termine? È un ripensamento del canone, a seconda dell’evoluzione sociale in una determinata epoca. È memoria attiva, come ha avuto modo di sostenere Massimo Cacciari, in opposizione alla concezione statica di ciò che ci circonda. È resistenza al contingente, all’attualità, alla pressione del presente, per contrastare i quali ci è necessario risalire diacronicamente alla saggezza dei padri.
Attraverso il ricorso al classico si cerca, quindi, di cogliere il momento attuale dal passato per non farsi meramente trasportare dalle vicende contemporanee.

2. Sotto questo profilo, L’ordinamento giuridico è un classico per eccellenza, anche se un classico sui generis: perché ha fatto epoca in un’epoca diversa dalla sua (Romano, come è noto, lavorò specificamente sul tema per circa un decennio, tra il 1909 e il 1918, ma già alcune opere giovanili avevano preparato il terreno alle teorizzazioni formulate nel corso della prima guerra mondiale).
Santi Romano (il miglior allievo della scuola palermitana di Vittorio Emanuele Orlando, il quale, nel corso di quel 1918, sarebbe divenuto il Presidente del Consiglio della Vittoria), assieme al francese Maurice Hauriou – si noti: due studiosi di diritto pubblico, attivi tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, furono tra i maggiori elaboratori di teoria generale, assieme ai costituzionalisti tedeschi di fine Ottocento –, è stato il maggior esponente del cosiddetto istituzionalismo, cioè di quella corrente di pensiero che individua nell’istituzione il punto cardine attorno a cui strutturalmente ruota la vita in società. La teoria istituzionalista è l’espressione della complessità delle relazioni sociali dell’età post-moderna.
Tre sono le principali tesi espresse ne L’ordinamento giuridico di Santi Romano.
La prima è quella dell’equazione tra ordinamento giuridico e istituzione. Per Romano l’istituzione, contrariamente a quanto sosteneva Hauriou, non è strumentale all’ordinamento, ma è essa stessa ordinamento: ad ogni istituzione corrisponde un ordinamento e ogni istituzione produce diritto. In questo senso, l’ordinamento giuridico cui pensa Romano è l’istituzione ed è quindi un ordinamento diverso, più complesso, rispetto a quello inteso da Hans Kelsen, che lo concepiva come sistema di norme.
La seconda tesi è quella del rapporto tra istituzione e struttura sociale. Ciò determina la stretta correlazione tra diritto e società (ubi societas ibi ius: in ogni gruppo sociale organizzato è presente il diritto) e l’importanza dell’organizzazione (e quindi del profilo statico) accanto all’attività (il profilo dinamico). Per cui il profilo organizzativo precede e si accompagna all’attività: si pensi al fatto che per avere un atto amministrativo occorre che vi sia un ufficio amministrativo.
La terza tesi, notissima, è quella della pluralità degli ordinamenti giuridici. Esistono tanti ordinamenti giuridici per quante sono le istituzioni. Si tratta di un concetto rivoluzionario per l’epoca, perché tutta la vita associata era ricondotta allo Stato moloch, allo Stato persona giuridica, allo Stato monoclasse (nel senso che era costruito per garantire la classe borghese). Romano (che, in realtà, apprezzava lo Stato moderno quale stupenda creazione del diritto) prende atto dei grandi rivolgimenti sociali di quei decenni (della riemersione dei corpi intermedi, in particolare delle nuove organizzazioni di massa, dai sindacati dei lavoratori ai partiti politici di massa). È un pluralismo, quindi, che si sviluppa “dentro lo Stato” (la vita associativa) e “oltre lo Stato” (le organizzazioni internazionali), ma anche “al di là dello Stato” (si pensi che Romano giunge a dire che ordinamenti giuridici possano svilupparsi anche nello spazio dell’irrilevanza rispetto all’ordinamento dello Stato o addirittura contro l’ordinamento dello Stato: esempio di quest’ultimo può essere un’organizzazione criminale, che ha proprie regole, strutture, “tribunali”, forme coattive).
Sotto il profilo giuridico, un pregio indiscusso de L’ordinamento giuridico è che tale opera coglie perfettamente le pulsioni e le spinte sociali della sua epoca pur restando pienamente nel campo della riflessione giuridica “pura”, si potrebbe dire, della teoria generale del diritto. In questo senso, gratuite sono state le accuse di sociologismo che sono state mosse, in varie epoche, al capolavoro di Romano.
L’altro valore aggiunto dell’opera è che essa può essere letta anche in modo completamente scisso rispetto alla restante copiosa opera del giurista palermitano. Molto si è discusso circa lo statalismo o l’antistatalismo di Romano: egli era espressione dell’alta borghesia agraria, dominante nel Meridione; certamente lo Stato era e rimase il suo punto di riferimento dal punto di vista del modello sociale; certamente egli ottenne incarichi di rilievo nel ventennio fascista e produsse anche in quel frangente (e, quindi, in epoca successiva a L’ordinamento giuridico) contributi di matrice statalista. Ma il suo libro principale è un contributo di teoria generale, nel quale egli, prendendo atto di una serie di trasformazioni sociali, mette in discussione i paradigmi consolidatisi nella precedente epoca e ne ridefinisce i contenuti. Tale operazione, forse anche perché elaborata nella “bolla” della Prima guerra mondiale, può essere sradicata da uno stretto riferimento temporale e adattarsi alle dinamiche evolutive delle diverse epoche. Di qui la capacità dell’opera, una volta entrata in vigore la Costituzione repubblicana (sulla quale, come è noto, Santi Romano, aveva espresso un giudizio negativo), di fungere da fonte di ispirazione per l’assetto costituzionale pluralista.

3. Forse la più suggestiva definizione de L’ordinamento giuridico l’ha fornita il maggior storico del diritto italiano contemporaneo, Paolo Grossi. Il quale ha giustamente indicato l’opera, edita al termine della prima guerra mondiale, quale porta di ingresso nell’epoca post-moderna.
Il costituzionalismo post-moderno sorge, per Grossi, dalla messa in dubbio delle certezze e dei valori della modernità giuridica settecentesca e ottocentesca e rinviene le sue radici nella crisi socio-economica della fine dell’Ottocento: la certezza dello Stato come unico produttore di diritto; la certezza mitologica del diritto suddito del potere politico e artificiosamente ridotto all’astratto primato della legge, ignorante invece della fattualità giuridica.
Alla crisi della modernità segue la post-modernità novecentesca, che apre al pluralismo sociale - più società e meno Stato - con il prorompere dei corpi intermedi e della complessità della società civile: una società finalmente pluriclasse (secondo la definizione di Massimo Severo Giannini), non soltanto monoclasse borghese. Sorta nel primo Novecento, la post-modernità si manifesta in modo più maturo nel costituzionalismo democratico della seconda parte del Novecento, nella res publica che è il frutto della condivisione di valori della pluralità ordinamentale: in Italia giungerà al suo apice con la Costituzione della Repubblica italiana del 1948.
Ma non va dimenticato che questo fulgido esempio di Costituzione sociale, tuttora viva e pugnace, aveva già trovato un suo antesignano nella Costituzione di Weimar del 1919, appena un anno dopo dalla pubblicazione de L’ordinamento giuridico di Santi Romano. Esperienza, quella di Weimar, come sappiamo, conclusasi tragicamente nel Reich nazista e nella catastrofe della seconda guerra mondiale.

4. Come accade spesso ai libri che intuiscono gli sviluppi futuri, la capacità innovativa del messaggio romaniano non fu compresa a pieno dai contemporanei, perché le sue idee erano troppo avanzate per l’epoca.
Di lì a poco, poi, giunse il ventennio fascista e, anzi, Alfredo Rocco utilizzò strumentalmente la costruzione romaniana per imbrigliare la società nello Stato, attraverso il corporativismo, e per far sì che la società si impossessasse dello Stato, tramite il Partito Nazionale Fascista. Una deriva tutta diversa dall’impronta pluralista che può rinvenirsi nell’istituzionalismo.
Lo stesso Santi Romano fu nominato da Mussolini nel 1928 alla Presidenza del Consiglio di Stato, incarico che rivestì per un quindicennio, dal 1929 al 1944. Nel secondo dopoguerra subì il processo di epurazione e scomparve nel 1947, a settantadue anni, dopo aver dato alla luce un altro indimenticato capolavoro, i Frammenti di un dizionario giuridico.
Fu la Costituzione repubblicana a sdoganare L’ordinamento giuridico, nel senso che costruì le premesse, il sostrato di principi fondamentali, attraverso cui la tesi pluralista poté concretamente esplicarsi. Studiosi quali Capograssi, Giannini, Orestano, Ottaviano e altri fecero uso della sua intuizione per edificare ulteriori sviluppi teorici e per dimostrarne anche il valore pratico e applicativo.
Eppure lo scetticismo della dogmatica giuridica, cioè di quell’idea di assolutismo giuridico per cui l’analisi giuridica scaturisce esclusivamente dalla norma e il diritto deve essere separato e distante dalle altre scienze sociali, ha continuato a guardare con sospetto all’opera romaniana.
In un recente scritto di Eugenio Ripepe è raccontato un aneddoto emblematico. Antonio Cassese, celebre studioso di diritto internazionale, scomparso qualche anno fa, ha ricordato che a Pisa, da studente, aveva assistito al seguente dialogo: Massimo Severo Giannini, il maggiore allievo di Santi Romano e Ministro della funzione pubblica nella seconda metà degli anni Settanta, aveva chiesto a Virgilio Andrioli, noto processualcivilista e giudice della Corte costituzionale, cosa ne pensasse de L’ordinamento giuridico. Questi aveva risposto, con la nota causticità: «Quel libro? … È un romanzo!». Con ciò probabilmente volendo intendere come i suoi contenuti fossero lontani dalla realtà e, comunque, esterni al perimetro giuridico.

5. Vi è almeno un elemento di verità nella critica di Andrioli ed è il seguente: il libro è scritto benissimo, con una prosa elegante. Da questo punto di vista, nonostante i contenuti tecnici, il testo può essere letto piacevolmente, come un romanzo.
Ma non vi è nulla di più errato nei contenuti velatamente negativi della considerazione, perché semplicemente ne L’ordinamento giuridico è esposta una idea di diritto assai diversa da quella asettica e distante della dogmatica giuridica: un diritto intriso di fattualità e di carnalità, dotato sì di caratteri propri e autonomi sotto il profilo tecnico-scientifico (e fiero della propria autonomia tecnica), ma non separato da barriere divisorie rispetto alle altre scienze sociali.
E per nulla distante dalla realtà e dalle dinamiche evolutive: questo prodotto scientifico del primo quarto del Novecento, le cui tesi erano state utilizzate in modo distorto con il corporativismo, nel secondo quarto del XX secolo; e che aveva dimostrato le potenzialità pluraliste con la Costituzione democratica nel terzo quarto; avrebbe fornito un significativo punto di appoggio teorico nell’ultimo quarto del secolo breve, a seguito della piena emersione della dimensione sovranazionale.
La tesi della pluralità degli ordinamenti giuridici, difatti, e delle relazioni tra ordinamenti si esprime nella sua più significativa manifestazione nel contesto sovranazionale: sia in quello europeo, sia in quello globale.
Per un certo periodo, è vero, le tesi romaniane sono parse ormai rivestire un interesse meramente storico o, al più, di sostrato culturale e teorico generale, dal momento che le costruzioni della multilevel governance in campo europeo e quelle del costituzionalismo cosmopolitico di ambientazione globale e universale avevano consentito uno sviluppo del constitutional pluralism che aveva confinato pienamente sullo sfondo le tesi romaniane. Ma negli ultimi anni, con l’indebolimento del pluralismo costituzionale scaturito dalla crisi economico-finanziaria mondiale, l’opera del giurista palermitano si è rivelata tuttora utile per interpretare alcuni fenomeni di trasformazione, di rottura, di ricomposizione delle relazioni tra ordinamenti (si pensi, ad esempio, alla Brexit), per cui può essere fecondo l’approfondimento, a distanza di un secolo, della fondamentale opera di Santi Romano.

6. Certo, non bisogna mai dimenticare che Santi Romano ha operato in un contesto storico-culturale del tutto diverso rispetto a quello odierno: si consideri, ad esempio, che quando egli pensava a un ordinamento oltre lo Stato si riferiva all’epoca, principalmente, all’idea di Mitteleuropa, con l’Impero germanico al centro di un’unione doganale comprensiva di una serie di paesi europei.
Era un mondo giuridico all’abbrivio della complessità, ma ancora molto semplificato rispetto al “caos calmo” dell’epoca contemporanea e all’effettiva corrispondenza reciproca tra ordinamenti.
Eppure il pluralismo romaniano “attualizzato” può essere ancora di ausilio per fornire una serie di possibili chiavi di lettura alternative rispetto ai due modelli prevalenti. Si prenda, ad esempio, il contesto europeo: per un verso, vi è la tesi, ancora utopica allo stato dei fatti, della sostituzione di Stati con lo Stato e, quindi, dell’ipotesi federalista degli Stati Uniti d’Europa, volta a traslare in sede sovranazionale i caratteri tipici dell’ordinamento giuridico statale; per l’altro, vi è la tesi dell’avvenuto dissolvimento dell’esperienza statuale nel nuovo paradigma della governance diffusa, cosiddetta multilivello, nella quale i piani si confondono e si mischiano in assenza di riferimento a un modello sociale dotato quanto meno di primazia.
L’approccio romaniano può essere di ausilio per leggere fenomeni (si è già fatto l’esempio della Brexit, che è quello certamente più significativo) in controtendenza rispetto alle evoluzioni istituzionali degli ultimi decenni; ciò consente di guardare all’attuale fase “liquida” come a un evento dinamico, a una porzione di una fattispecie complessa a formazione progressiva, che, si spera, possa gradualmente condurre, in seno al contesto europeo, verso il passaggio a un assetto più politicamente coeso e meno fondato su dinamiche intergovernative (le quali, tuttavia, allo stato, sono ancora ben presenti).
La pluralità e la commistione tra ordinamenti, la molteplicità delle fonti e l’indefinitezza che ne è derivata, le esigenze crescenti di armonizzazione e normalizzazione hanno finito per rendere più confusi e incerti i paradigmi e gli architravi dell’ordinamento democratico. Le spinte della globalizzazione economica e le rigidità burocratiche del tecnicismo contabile-finanziario stanno determinando pericolosi rigurgiti in senso sovranista e populista. Si tratta di fondamenta, quelle dell’ordinamento democratico, che vale ancora la pena di preservare, nella speranza di riuscire a pervenire presto a un approdo europeo più sicuro.
Per questo può essere tuttora prezioso trarre linfa da L’ordinamento giuridico di Santi Romano e, in particolare, dalla seconda parte del volume, che è tuttora uno scrigno che custodisce dei preziosi tesori in ordine ai rapporti e alle modalità di relazione tra ordinamenti.
Come si è detto in avvio, attingere a un classico per reinquadrare il canone; per resistere al contingente con la forza diacronica