Henri Michaux è uno dei grandi classici della letteratura francese del Novecento. Negli anni Sessanta e Settanta ha conosciuto anche da noi una discreta notorietà. Poi è scomparso, sparito dai cataloghi. Per questo è una vera festa poterlo rileggere, o leggere per la prima volta, nella bella traduzione d’autore di Gianni Celati e Jean Talon. Il libro s’intitola Altrove e raccoglie tre libri di viaggio in paesi immaginari. Questo è il volume da cui nel 1967 ha tratto ispirazione Calvino per Le città invisibili. La scrittura di Michaux possiede una qualità che tuttavia Calvino ha solo sfiorato e che è la ragione per cui il mondo editoriale ne ha decretato la scomparsa: si colloca lontano dalle mitologie dell’ “io cosciente” in cui si è arroccata oggi la letteratura, come scrive Celati nella prefazione. La letteratura attuale, anche quella che sembra controcorrente, o che tale si auto-presenta, è una letteratura dell’eccesso dell’io: è egotica sia quando è letteratura industriale sia quando alza lo stendardo dell’anti-letteratura. Michaux è tutto il contrario: nelle sue pagine l’io sembra scomparire, sottrarsi, appare senza volontà, eppure possiede sempre il carattere della necessità. Altrove è un libro divertente che contiene storie strambe e curiose, comico e patetico insieme, allegro e tragico, un libro in cui “ogni frase diventa una acrobazia immaginativa, una specie di volteggio sul trapezio delle virgole”. In Michaux non c’è nulla dell’ “artista creatore”, nulla delle sue pretese di serietà artificiale, come ricordano i due traduttori. Si provi a leggere la vicenda di Devobo, imperatore di Gran Garabagna che conclude il primo viaggio in quel paese immaginario. E’ una bellissima storia che lascia incantati e dà da pensare riguardo al rapporto tra volontà e destino. Mentre tanti scrittori ci scaraventano sul tavolo libroni di centinaia di pagine, Michaux “ci lascia lieti e sazi con poche righe”. Non è poco.