Recensioni / Son mandato à Cina, à Cina vado

Fino al 2004 era quasi sconosciuto un missionario di Fermo, Teodorico Pedrini, che dal 1711 fino alla morte, avvenuta nel 1746, era vissuto a Pechino: per i primi 11 anni presso la corte imperiale, e poi presso la residenza di Xitang, ancora oggi esistente. Lo conoscevano solo pochi musicisti, dopo che nel secolo scorso furono ritrovate alla Biblioteca Nazionale di Pechino alcune composizioni per violino, a firma «Nepridi» (è l’anagramma del suo nome). Anche nella città natale era stato dimenticato. Eppure Pedrini fu accademico dell’Arcadia e un eccellente musicista, sotto l’influsso del geniale Arcangelo Corelli. Divenuto sacerdote nella Congregazione della Missione (i «Lazzaristi»), nel 1702 fu inviato missionario in Cina da Propaganda Fide.
I curatori dell’opera hanno ricostruito la figura storica del missionario, pubblicando un primo volume che raccoglie più di 100 lettere conservate negli archivi del Collegio Leoniano (sede romana della Congregazione) e presso la Casa generalizia dei Frati Minori. Le hanno corredate di un ampio apparato critico e documentario, con indici e biografia delle persone citate.
Le lettere costituiscono un enorme patrimonio di storia e di cronaca e documentano una straordinaria passione umana ed evangelica. Il Pedrini che ne emerge è una figura sorprendente: un protagonista nella missione cinese e un sacerdote dedito alla pastorale, che aveva pure costruito una chiesa a Pechino. In ogni lettera egli si firma «indegno prete della Missione», eppure è stato una figura di spicco nel momento culminante della «controversia dei riti cinesi», circa la compatibilità tra i riti cristiani e quelli confuciani: una querelle durata quasi un secolo e conclusa nel 1742.
A 56 anni, Pedrini, in una lettera indirizzata al cardinale Filippo Antonio Gualterio (anche lui di Fermo, già nunzio a Parigi), traccia un bilancio della sua vita. Vi appare subito il suo carattere, deciso e inflessibile, focoso e capace di combattere ogni avversità, a cominciare dal viaggio verso la Cina, che dura otto anni, anziché uno. Approdato in Perù, da dove è difficile proseguire per l’Oriente, gli viene offerto di rimanere missionario a Lima, ma egli è determinato a raggiungere la meta: «Son mandato à Cina, à Cina vado» (p. 244). Vi arriva nel 1710 e, grazie alla competenza musicale, è ammesso subito alla presenza dell’imperatore Kangxi, appassionato di musica.
Le lettere certificano la vita quotidiana a corte e sono il riflesso vivo della sua storia (soprattutto quelle più personali, al fratello, agli amici e ad alcuni religiosi). Sebbene sia avversato dai gesuiti per la questione dei riti, Pedrini non nutre ostilità nei loro confronti. Scherza sull’acronimo della Compagnia (A.M.D.G., che egli interpreta «Alla Maniera Dei Gesuiti») (pp. 65; 398). Quando si trova in ristrettezze economiche, chiede aiuto ai gesuiti, lo riceve e ne è loro grato (p. 286).
Ma la cosa più notevole è il rapporto che si instaura tra il missionario e Kangxi: «Nessuno fù più gradito all’imperatore che io, che ero l’infimo di tutti» (p. 246). Questo provoca l’invidia dei mandarini e dei religiosi. Pedrini informa l’imperatore delle decisioni di Roma sui riti cinesi, che sono contro i princìpi di accomodamento di Matteo Ricci (pp. 326, n. 14; 539, n. 11). Qui risalta la serenità e imparzialità dell’imperatore, che vuole conoscere il cristianesimo e prendere atto delle decisioni del Papa; tuttavia desidera che i missionari si rispettino e non litighino tra loro; ha orrore delle loro diatribe, perché turbano la pace della Cina (pp. 135; 153 s; 402).
In una successiva conversazione del 1728, il suo successore, l’imperatore Yongzheng, pone domande importanti sul cristianesimo: perché Dio non si è incarnato in Cina anziché in Palestina? La Cina è più importante dell’Europa e della Palestina, ed è l’Impero di Mezzo (cfr p. 489). E il paradiso e l’inferno che cosa sono? Sembra che il sovrano non si accontenti delle risposte dei missionari sulla nuova religione; ma essi gli ricordano l’antichità del cristianesimo in Cina: i nestoriani sono menzionati nella stele di Xi’an del 781.
In seguito agli aspri contrasti sui riti, Pedrini sperimenta con la prigionia anche la severità imperiale (si era rifiutato di sottoscrivere il resoconto della legazione Diario dei mandarini). Ma il nuovo imperatore Yongzheng, che lo conosce bene, lo libera nel febbraio 1723 (p. 351).
Nella Prefazione, Francesco D’Arelli afferma che l’epistolario è un primo contributo alla conoscenza del missionario di Fermo, «solo un assaggio, sebbene tra i più sapidi, di quanto Pedrini poté scrivere e che in parte ancora si preserva manoscritto in svariati archivi e biblioteche italiani» (p. XIV).