Recensioni / Michaux, ingegno e provocazione

Un rospo vale due vespe, vige il divieto severo di ridere prima di mezzogiorno, e se nell'oscurità vi capita di scorgere in aria un grande manicotto luminoso, “ciò che vedete in quel modo, è una collera”. Molto grazioso è l'uomo‑albero che produce sino a venti, trenta natiche. Ma per i sociologi, che infestano la modernità, ben più interessanti sono il regime che doma i rivoltosi con gas puzzolenti, e l'ordinamento che mette a morte i commercianti, proprio come in Europa avrebbe voluto l'autore di questo Altrove, antropologia surrealista in forma di appunti di viaggi visionari, quell'Henry Michaux che era figlio di commercianti, viaggiava per estirparsi di dosso famiglia e patria, rifiutava la gloria, si nascondeva e cercava di distruggere dati biografici e foto, perché anche la faccia a poco poco viene via, e “ai malfattori colti in flagrante gli si strappa il viso sul posto”.
Molto evoluto è il popolo che, anziché uccidere i leoni, re della foresta, ferisce la loro "anima collettiva" costringendoli a rinculare con la coda tra le gambe, “e se ne vedono che, come miserabili, frugano tra i rifiuti delle case”. La sostanza‑leone, il valore-leone, individuato e colpito, è come il valore‑famiglia che nella provincia di Norr, viene rovesciato “al mercato dei genitori”, dove i bimbi vanno a scegliersi i propri, perché un padre adottivo è meglio di quello naturale, e “un bambino ha raramente bisogno di un padre e di una madre, ma ha bisogno, secondo il suo carattere, o dell'uno o dell'altra”. Così “nella provincia di Gomoba si trovano molti più padri che madri mentre in Carela è il contrario”.
Che dire di queste usanze? “Fanno subito venire l'invidia, vi assicuro”. Al di là delle intenzioni misteriose dell'autore più misterioso e forse più amato di Francia, questo Altrove, che Gianni Celati e Jean Talon hanno benissmo tradotto da un francese di spasmi, simboli e sottintesi con uno spessore di mutismo, è una modernissima critica della ragione antropologica, fondata sull'osservazione di usi e costumi che si sommano a capriccio, come accade in tutti gli archivi e i dizionari del sapere, nel ridicolo "blocco delle scienze". Sino alla psicanalisi di Freud, “che ha tentato in tutti i modi di rifilarmi una famiglia”, la scienza è sempre surrealtà, esilio dalle categorie concettuali.
Altrove è come un antipasto all'ingegno di Michaux, pittore scrittore e poeta che a 60 anni "si faceva" di mescalina per lavorare, e suo malgrado morì vecchio e rispettato nel 1984, scrivendo nel testamento: “Diseredo i miei familiari”. La sua opera, vastissima, è pressoché inedita in Italia, e forse ne sarebbe contento perché “le cose di massimo interesse non si vedono”. Bisogna guardare con gli occhiali antinebbia per vedere l'acqua che si trattiene dallo scorrere, o gli uomini uccisi dalle proprie parole. Ed è barbaro il viaggiatore quando chiede: “Quant'è le labbra?”. La domanda non ha risposta: “Ero in errore. Non mi trovavo a Niua bensì a Criua, dove il bacio, a prescindere dalla durata, è gratis”. E chi non si perderebbe in una gigantessa? “Allevate, formate, e mostruosamente sviluppate” ve ne sono, in Orfidia, “una per nove villaggi”. La gigantessa vive in una casa e volentieri a letto, “nel senso più rilassato della parola "letto", e nel senso peggiore della parola "casa"”. Gli uomini ne escono esausti ma regali. Invece i nani vengono allevati in barili. E i Guari sono ubriachi di religione. Talvolta un Guaro devoto, passando davanti alle pentole dei sacrifici, ci vede dentro una magra pietanza, quasi offensiva per Dio: “Un neonato sparuto tutto pelle e ossa, dal quale si cava ben poco”. Allora il pio Gauro “si taglia di slancio un dito, magra offerta senza dubbio, che tuttavia presenta a Dio con molte scuse e ancora caldo”. Il libro fu scritto nel 1941 quando i Guari non erano ancora tra noi.