Recensioni / Libri - Piccola antologia in lingua italiana

Le Giubek erano delle sigarette confezionate in una carta morbida, giallina. Quando entrarono in commercio si smerciavano solo in bustine da 10; ci volle del tempo perché fossero perfezionate in pacchetti da 20. Oggi forse non esistono più. Nel 1938 si vendevano, di sicuro. C'è una poesia di Raffaello Baldini presente in Piccola antologia in lingua italiana che inchioda nel tempo una maestra di Sant'Ermete che fuma una sigaretta in una stanza. La poesia è questa, e si intitola 1938: «La maestra di Sant'Ermete / delle volte, il pomeriggio, sichiude in camera e accende una Giubek. / Non fuma. / Sdraiata sul letto / la guarda consumarsi. / Le piace l'odore. / Delle volte le viene da piangere».
La poesia è scritta nel dialetto tipico di Santarcangelo di Romagna, dove Baldini è nato, e apre questa antologia di 23 poesie, corredata da un omaggio e un'intervista che Daniele Benati fa allo stesso Baldini.
Un poeta che spesso viene lasciato ai margini del panorama poetico del Novecento, specie per la delicata questione del dialetto. «Ci sono cose che accadono solo in dialetto romagnolo», ha detto una volta Baldini, e bisogna credergli. Le poesie sono tradotte dal poeta stesso, ma è l'urgenza di scrivere che trova attracco nel porto sicuro di un'altra lingua, la stessa nella quale il nocciolo di un frutto diventa «l'anma», l'anima. D'altronde Beckett, irlandese, ha scritto le opere più riuscite in una lingua che non gli apparteneva, il francese. Non è il solo aspetto in comune tra i due autori. Le poesie di Baldini, infatti, sono tessute in maniera circolare, come se ogni verso rincorresse il verso seguente, in una girandola libera eppure contrappuntata. È il continuo inciampo di un io narrante imbarazzato, incastrato, vorticoso. Le tensioni cervellotiche, il più delle volte, si ammorbidiscono in un affiato agrodolce, in uno scioglimento, in quella distensione amara solita dei muscoli dopo i crampi. Non è un caso che Benati, nel suo intervento a margine del libro, affermi che «la caratteristica più importante di queste poesie è che il poeta si fa da parte, non interviene mai come voce d'autore, non usa un linguaggio propriamente poetico, ma lascia che il tono lirico emerga dai fatti narrati, dalle divagazioni fantastiche d'un personaggio o dalle sospensioni pensose del suo discorso».
Presentare a un pubblico le poesie di Baldini in italiano, senza il loro testo a fronte in dialetto, è una presa di posizione significativa, visto che spesso i poeti dialettali vengono relegati nei secondi piani degli scaffali solo per questo. Delio Tessa, Giacomo Noventa e Biagio Marin ne sono un esempio. Molte poesie di Raffaello Baldini sono come quelle palle di neve che nelle discese prendono velocità e peso, rotolando su se stesse. Forse, però, in questo caso, rotolano al contrario, salgono le rapide, invece di voltolare a valle, e alla fine il grande strombazzare, gli scatti d'ira, i soliloqui di alcuni personaggi solitari, si risolvono in un paesaggio di quiete, in un silenzio da dopopranzo, come in questa poesia intitolata Luglio: «Quando a quello di mano / gli è venuta la cricca di coppe / ha dato una botta sul legno / che nei bicchieri il vino ha tremato tutto, / e la cicala sul ciliegio / ha taciuto di botto dalla paura. / L'aria allora è diventata così leggera / che sul crocicchio s'è sentito pigolare / il campanello arrugginito di una bicicletta, / e laggiù, ma lontano, / volare un aeroplano sopra il mare».