Tenendo conto di un suo importante libro pubblicato l'anno scorso da Quodlibet, Il rovescio della libertà. Tramonto
del neoliberalismo e disagio della civiltà, Massimo De Carolis ha scritto ora una nuova corposa introduzione a Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica (Quodilibet, pp. 176, ¬ 16,00) a distanza di dieci anni dalla prima edizione: un saggio nel saggio che ripensa le tesi esposte allora - era i1 2008, 1'inizio della devastante crisi finanziaria.
L'intento e il metodo di indagine dei due libri sono analoghi: cercare di capire quale forma abbia assunto la vita presente alla luce di quella somma di peculiarità della nostra specie che chiamiamo «natura umana». Non, dunque, una critica dell'attualità, ma un'osservazione che faccia la spola tra la nostra natura di animali umani - sprovvisti di risposte stabili all'ambiente e perciò obbligati a costruirsi una cultura, una civiltà - e le forme di vita contingenti, effettivamente costruite nella storia. È quel che Foucault chiamava «ontologia del presente» e che, in un certo senso, si interroga su quel che stiamo facendo di noi stessi, sulle risposte che diamo alla nostra necessità di costruire creativamente una convivenza.
Più volte De Carolis insiste sulla necessità di cogliere le strutture logiche che regolano le nostre attuali forme di vita, a
partire dalla differenza tra comunità «perfette» e «imperfette»: una comunità perfetta è un insieme di individui che si presume condividano tratti comuni, a partire da un principio (logico o politico) che ne sancisca l'omogeneità e l'autosufficienza: un popolo che si aliena o si riconosce in un potere sovrano unificante. È stato questo il modello di
organizzazione politica e psichica della modernità, con tutti i costi e le pesanti conseguenze esplose nel Novecento. Sul piano psichico si potrebbe dire che sono le pulsioni ad «alienare» le loro spinte centrifughe a favore di un Io dominante.
Una comunità «imperfetta» è invece una comunità legata a obiettivi limitati e contingenti: gli individui più eterogenei si trovano uititi grazie a una caratteristica o uno scopo, tra i tanti possibili, in cui riconoscersi, magari solo per un breve periodo: comunità di scopo futili (del genere «club della pipa» o «clienti di...» opportunamente fidelizzati) o comunità
di scopo molto più compatte, ma sempre caratterizzate da una forte eterogeneità dei loro membri di appartenenza.
Tutte le minoranze, o le «nicchie» create a scopi di rifugio e riconoscimento, si compattano in base a una reciprocafedeltà allo scopo perseguito, senza che la «comunità imperfetta» possa riconoscèrsi in un'unità sovrana. Sono queste comunità imperfette la vera posta in gioco delle nostre forme di vita: il progetto politico-antropologico.