Recensioni / «Sei patetica», così scoppiò il caso Morante

Nel giugno 1974 arriva nelle librerie italiane il nuovo romanzo di Elsa Morante: La Storia. Romanzo. In copertina una foto di Robert Capa dalla guerra civile spagnola: un corpo riverso su un mucchio di rovine virato in rosso. Sono 661 pagine, prezzo 2.000 lire. Pubblicato direttamente in economica per volontà della autrice, è tirato in centomila copie. Einaudi l’ha annunciato con piccole pubblicità, poi acquista un’intera pagina sul «Corriere della Sera». Prima di allora nessun libro italiano era stato accompagnato da un battage simile. In breve diventa il libro dell’anno salutato da una serie incredibile di recensioni e polemiche: 354, esclusi i saggi veri e propri. A quarantacinque anni di distanza una studiosa di letteratura italiana, Angela Borghesi, raccoglie 204 recensioni e analizza in 300 pagine quella mole di scritti, definendo in modo puntiglioso e apertamente polemico il caso-Morante: L’anno della Storia 1974-1975 che coraggiosamente l’editore Quodlibet pubblica in questi giorni.
Dopo sei mesi le copie vendute della Morante sono 600.000; un anno dopo l’uscita: un milione. Come si chiese in un articolo su «Epoca» Cesare Garboli il 12 ottobre 1974, il quarto pezzo che scrisse, ciò cui si era assistito su giornali e riviste somigliava «all’esplosione di un caso letterario o all’eruzione di un formicaio impazzito?». Entrambe le cose viene da dire leggendo il dossier allestito da Borghesi. Scesero in campo marxisti, cattolici, anarchici, repubblicani, socialisti e fascisti, e in pochissimi casi il romanzo della Morante superò l’esame. Fu in gran parte attaccato, criticato e preso a schiaffi da un establishment che si sentiva per la prima volta superato a destra e a sinistra sull’autostrada delle Belle Lettere dal pubblico dei lettori: comunisti, extraparlamentari, socialisti, cattolici, come testimoniano le lettere ai giornali, avevano comprato, letto e pianto sul destino di Iduzza Ramundo, dei suoi figli Useppe e Nino e degli altri personaggi di questa storia ambientata nella Seconda guerra mondiale. Ad attaccare in modo frontale la scrittrice al suo terzo romanzo è soprattutto la sinistra intellettuale. Dopo un esordio favorevole di Geno Pampaloni, e una dichiarazione commossa di Natalia Ginzburg, scoppia la bagarre. Sulle pagine del «manifesto» una velenosa lettera a firma di Nanni Balestrini, Elisabetta Rasy, Letizia Paolozzi e Umberto Silva, stigmatizza la recensione positiva di Liana Cellerino nel luglio del’74. Seguiranno interventi di Rina Gagliardi, positivo, e una tirata d’orecchie di Pintor ai firmatari, poi altre recensioni negative e il finale tombale di Rossana Rossanda, decisamente contro. Non c’è critico dell’epoca che non sia intervenuto, più contro che a favore. I giornali sono lesti nel definire gli schieramenti: contro la neoavanguardia, la sinistra extraparlamentare, capitanata da Asor Rosa (lo paragona a un Kolossal cinematografico: puro kitsch), Romano Luperini (ne critica l’impianto ideologico piccolo borghese) e Franco Fortini, che latita e si nasconde (la storia della sua mancata recensione è un saggio nel saggio); ma anche il gruppo romano intorno a Moravia, ex marito della Morante, che entra in campo con una secca stroncatura di Enzo Siciliano. Persino Pier Paolo Pasolini, il più legato di tutti a Elsa Morante, in un lungo pezzo su «Tempo» evidenzia il fallimento del romanzo, che è «tre libri insieme».
Angela Borghesi mette in luce l’incomprensione che in un paese, dominato culturalmente da marxisti e cattolici, mostrò la critica davanti a un’opera che spiazzava le ideologie dell’epoca con una visione del mondo che Garboli giustamente definisce «poetica», al di là delle convinzioni politiche e sociali. Perché questa reazione? Ci sono almeno tre aspetti che Borghesi riassume nelle pagine finali, arrivando sino al nostro oggi, dove in Italia, in mezzo a tanti "capolavori" dimenticati, La Storia vende 7-8.000 copie ogni anno. Il primo lo spiega Garboli, il solo che si schiera con decisione e motivazioni a favore della Morante: invidia. Gran parte degli articoli con un linguaggio politico-militare stigmatizzano l’aspetto commerciale, il best seller che diventa. Aveva successo, quindi non poteva essere un buon libro. Borghesi ha strada facile nel segnalare come in gran parte delle critiche, con qualche eccezione, manchi l’analisi critica, l’approfondimento, e dire che narratologia e critica stilistica erano ben sviluppate all’epoca. La seconda ragione, scrive l’autrice, è «il pregiudizio di genere», un tema oggi attuale, forse non così profondamente marcato all’epoca; di certo, in quanto romanziere donna, Morante ha sempre suscitato molte diffidenze. La terza ragione è probabilmente la più profonda, e anche letterariamente più importante: il rifiuto del patetico. Italo Calvino, che pure stimava Elsa, e a cui il romanzo non piace fino in fondo, lo dice con molta evidenza: un narratore contemporaneo può far ridere o far paura al suo lettore, ma «farlo piangere no».
Quello che la critica marxista in particolare rifiuta è proprio il pathos narrativo de La Storia. Non si concede alla scrittrice di far piangere i suoi lettori, o che usi quella che Calvino chiama la «tecnica letteraria della commozione». All’uterina scrittrice romana non è concesso utilizzare impunemente il registro patetico sentimentale. L’autore del Marcovaldo si chiede: «Cosa fare allora? Guardarsi dell’essere "umani" nello scrivere?». Il punto probabilmente è qui: il patetico. Morante non è kitsch, ci dice questo librone, perché quella che suscita non è «la seconda lacrima», per dirla con Milan Kundera, bensì la prima, quella vera. La sinistra italiana non ha mai fatto bene i conti con il kitsch, nonostante Gillo Dorfles e altri, come si è visto nell’epoca berlusconiana, e ancora in questo momento politico. Quello che non colsero i critici, come scrisse ex post Marino Sinibaldi, è che una concezione tragica della storia e dei limiti della modificabilità del mondo, come quella del romanzo di Morante, era «utile alla definizione dei confini, dei limiti della politica». Poi venne il riflusso e la caduta delle ideologie. Il problema, Morante sì, Morante no, è ancora qui, davanti a noi.

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