Recensioni / La drammatica attualità del “materialismo” leopardiano

el nostro già stentato mercato editoriale, la crisi della saggistica si aggrava sempre più. Pubblicare un libro di critica odi storia della letteratura è ormai diun azzardo. Ci troviamo di fronte al dilemma formulato da Pierre Guiraud in termini di teoria della comunicazione: «Dire tutto a nessuno, o dire nulla a tutti». Da un lato abbiamo opere che richiedono concentrazione e fatica respingendo però il fruitore medio, dall'altro, prodotti capaci di raggiungere il grande pubblico ma elementari, e praticamente inuti li. In un panorama del genere, l'unica soluzione è affidata al talento individuale, come dimostra l'ultimo lavoro di Franco D'Intino, La caduta e il ritorno Cinque movimenti dell'immaginario romantico leopardiano (Quodlibet, pp. 363, € 24,00).
Fra i massimi studiosi del poeta, D'Intino sviluppa il suo tema in modo insieme chiaro e rigoro- so, collegandolo in maniera sor- prendente alla realtà dei nostri giorni: «(Oggi) nell'epoca in cui, forse per la prima volta nella storia moderna, il futuro appare peggiore del passato, ci accorgiamo di quanto sia stata visionario, mente giusta l'idea leopardiana di rappresentare la mutazione antropologica [tra antico e moderno] come corruzione, decadimento e morte della speranza». Evitando ogni facile attualizzazione, il libro spiega come il nemico di Leopardi sia il modello di società costituita tra Sette e Ottocento: «Un mondo nuovo, dominato da processi intellettuali di tipo radicalmente diverso rispetto a quelli tradizionali, per descrivere i quali valgono ancora le categorie di Max Weber: spirito di calcolo, razionalità strumentale e soprattutto disincantamento del mondo. Nei termini di Leopardi (simili a quelli di Coleridge e di altri scrittori romantici), potremmo dire: geometrizzazione, razionalità analitica, freddezza, egoismo».
Per il poeta della Ginestra, l'età delle macchine distrugge ogni, senso del mistero e dell'incalcolabile, trasformando i valori collettivi (Virtù, Giustizia, Gloria, Amicizia e Amore) in poveri, vuoti «fantasmi». Sotto il freddo sguardo della modernità trionfa infatti la tripla forma della produzione/distruzione/consumo. Ecco il motivo per cui Leopardi riteneva «opera da savio porre un argine alla ragione, che è il supplizio della nostra vita», raggiungendo in tal modo il marchese de Sade - anch'egli attratto dall'immagine di un soggetto non ancora cor- rotto dalla civiltà. Lo Zibaldone arriva addirittura a ipotizzare che l'umanità appartenga solo agli antichi, in quanto capaci di restare fedeli a valori anti-egoistici e anti-economici: «Al discorso della eccellente umanità degli antichi paragonati ai moderni, appartiene ancora il diritto d'asilo, che avevano presso loro non solo i templi o altri luoghi pubblici, ma anche il focolare di ogni casa privata; e ch'era tanto più venerato che non è da noi».
Duecento anni dopo le Operette morali, conclude D'Intino, sappiamo che l'incivilimento smisura- to e lo snaturamento senza limiti non hanno aperto la strada al mondo senza catene, come nel sogno dipinto da Marx, bensì all'incubo della «società egoista», come preconizzato da Sade e teorizzato da Leopardi. Paradossalmente, proprio l'utopia di un affrancamento totale dalla natura grazie alla ragione, alla conoscenza e alla tecnica (secondo quanto narrato nel Faust di Goethe), ha portato al dominio incontrastato della più brutale fra le leggi, ossia quella naturale. A distanza di due secoli, insomma, le cose sono andate nella direzione indicata dallo Zibaldone, «lo stregone non sa veramente più come fermarsi, le vittime non sono mai state così schiave e disunite».
Se molto si è scritto sul materialismo del recanatese, l'originalità di questo saggio sta, fra l'altro, nel sovrapporre l'idea leopardiana sulla caduta delle illusioni a quella espressa da Marx e Engels nel Manifesto del partito comunista, commentando tale accostamento con una cruda pagina risalente agli anni Trenta: «Quasi che i danari in sostanza siano l'uomo, e non altro che i danari: cosa che veramente pare che sia tenuta dal genere umano per assioma costante, specie ai tempi nostri». Eppoi ci domandiamo perché leggere ancora questo poeta nato nel Settecento...