Recensioni / Una fogliata di libri: Mozziconi

Mozziconi era nervoso perché lì sul fiume secondo lui non succedeva mai niente. Leggeva i giornali e vedeva che su in città invece succedevano tante cose, di tutti i colori. Non gli piacevano le cose che succedevano lassù, ma non gli piaceva nemmeno il niente di quaggiù”: con queste parole Luigi Malerba racconta la sospensione tra l’atmosfera salmastra del Biondo Tevere e la frenesia di Roma, l’andirivieni vagabondo e barbone di un morto di fame che non ha una casa, non ha un lavoro fisso, non ha niente. Casa sua Mozziconi l’ha buttata fuori dalla finestra, un pezzo alla volta, sedie, materasso, comodino, padella, cavatappi e quattro cucchiai, tutto, perfino una stufa di ghisa così pesante che per lanciarla via ha dovuto farsi aiutare da un ladro; perché Mozziconi non vuole avere niente da rubare, non vuole avere nulla. E’ una specie di Diogene il Cinico chiuso dentro una botte di pensieri, un filosofo del nulla che frigge pescetti lattarini, parla con pappagalli che abbaiano, si copre di lana come un beduino d’estate, non sa corteggiare le donne e raccoglie cicche da terra per fumarle. Non esiste una creatura più autentica di lui, ma Mozziconi non fa tenerezza: è un eroe, suscita quell’ammirazione incondizionata che riserviamo alla purezza che sappiamo di non poter mai raggiungere. Mozziconi non ha un nome, non si chiama Asdrubale né Pippo, quindi non sa come farsi chiamare e non ha amici, ma questo non significa che non conosca il mondo e le persone; è un cispadano e conosce Roma benissimo, la città della dissipazione e del poraccismo, dei soldi sprecati e della megalomania. Dal suo sottobosco salmastro, Mozziconi sa tutto, viene voglia di andare a omaggiarlo e interrogarlo anche se lui è tutt’altro che oracolare: è stralunato e la sua profondità risulta epidermica, liquida. Con questo libro, che Quodlibet finalmente ripropone (era apparso una sola volta da Einaudi nel 1975), Ermanno Cavazzoni, che firma la bandella, continua a riportare in libreria i testi di uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano. Mozziconi è un libro anfibio, secondo la definizione che Malerba stesso diede della propria letteratura: un libro per adulti e ragazzi, un libro per esseri umani. Contiene incisive ed eterne descrizioni di Roma, ne ha respirato l’aria fino in fondo e l’ha restituita sulla pagina con ironia cispadana: l’aria, la terra e l’acqua sono i tre elementi che si impastano sulle sponde del fiume, dove Mozziconi sceglie di vivere, riparandosi sotto i ponti e nutrendosi di pesci e lattughe. Intanto, il mondo esterno è così sbagliato che non resta che modificarlo a proprio piacere: Mozziconi non legge i giornali, li corregge, ne cambia il titolo, il finale, il contenuto e la forma. Se ne sta lì, dal fondo e dal cuore di una città, a scrivere le sue ragioni su pezzi di carta che arrotola dentro una bottiglia da lanciare nell’acqua temendo che il depuratore quelle parole possa salvarle, leggerle e rimescolarle a suo piacere. Le parole sono il luogo su cui Mozziconi ha un potere, mentre Roma è una città ingovernabile, anche se noi vorremmo affidarla a uno, dieci, mille Mozziconi e alla loro poetica marginalità.