Recensioni / Agamben riscopre i Turcs di Pasolini, a Crico il compito di tradurli in italiano

«Pietà, Cristo, del nostro paese. / Non per farci più signori di quello che siamo. Non per darci la pioggia, / non il sole. Nostro destino è patire caldo e freddo e tutte le tempeste / del cielo. Lo sappiamo. Quante volte abbiamo intonato le litanie / nel- la nostra chiesetta di Santa / Croce! Per avere da Te, per questa / nostra terra, un po’ di compassione». Comincia così (in una traduzione inversi, dal friulano all'italiano, di Ivan Crico) la struggente preghiera di Pauli Colùs che apre I Turcs tal Friùl, il dramma che Pasolini scrisse ne11944 nella cucina della casetta di Versuta dove viveva con la mamma Susanna per sfuggire ai bombardamenti su Casarsa. Pier Paolo lo considerava il suo più bel testo in friulano, ma non lo vide mai rappresentato. Ne fece solo una parziale lettura nell'asilo casarsese e raccontò così quell'esperienza: «Questo spettacolino e lo Stroligut sono come due fiorellini nati per caso nel deserto di lacrime e di passioni de11944, ma non tanto da annegare del tutto quel poco di serenità che, nel cuore dei giovani, resta finché resta vita».
Il testo dei Turcs venne pubblicato solamente nel 1976, dopo la morte del poeta, a cura di Luigi Ciceri e una nuova ristampa voluta dalla Filologica apparve nel 1996 con un saggio di Andreina Ciceri Nicoloso. Nel frattempo ci fu una clamorosa riscoperta del dramma pasoliniano, al quale si era appassionato (grazie agli attori Fabiano Fantini, Claudio Moretti e Renato Rinaldi) il regista milanese Elio De Capitani, anima del Teatro dell'Elfo, dandone una meraviglios a versione che debuttò alla Biennale di Venezia nel 1995 con le musiche di Giovanna Marini e con protagonisti Lucilla Morlacchi nei panni di Lussia Colùs e i migliori attori friulani, capaci poi di farne tesoro nelle singole esperienze.
Adesso i Turcs tornano in un'edizione sorprendente per l'intuizione di Giorgio Agamben, filosofo e scrittore, che va ris coprendo le potenzialità letterarie presenti in Friuli, terra che conosce bene e dove nel 2018 ha vinto il premio Nonino quale Maestro del nostro tempo. Per le edizioni di Quodlibet, di cui è fondatore, Agamben ha inaugurato una collana dedicata alla poesia in dialetto e alle lingue delle minoranze, intitolandola Ardilut, cioè valeriana selvatica o dolcetta, proprio il simbolo che Pasolini aveva scelto per lo Stroligut dell'Academia di Tenga furlana, il leggendario lunarietto apparso in quegli anni a Casarsa.
La riapparizione dei Turcs avviene in un libro (180 pagine, 17 euro)molto particolare, con due proposte diverse di traduzione del testo: una lettera- le e filologica (curata da Graziella Chiarcossi ristudiando i manoscritti), e una, dichiaratamente libera, affidata a Ivan Crico, poeta di Pieris, il quale si è avvicinato a questo impegno «come a una rispettosa ere- sia, non meno accomunata- almeno così io l'ho percepita in ogni istante - da un sentimento di sacra devozione al testo originale».
L'idea di una traduzione in versi dei Turcs è di Giorgio Agamben, che si era imbattuto nelle poesie di Crico scritte nella sua parlata cogliendone il modo di proporle in italiano. «L'intento di Agamben - spiega Crico - era appunto di evita- re la traduzione letterale di una lingua così intensa ed evocativa come il friulano. Da qui l'esigenza di allarmare il lettore, di suggerirgli che invece ci troviamo di fronte a un'opera di altissima poesia, di profondità abissale nei contenuti». Nell'affrontare il compito, Crico ha lavorato subito sul testo in friulano (con la consulenza del professor Federico Vicario) e soltanto in un secondo momento ha letto la versione in italiano della Chiarcossi. «A quel punto - aggiunge - c'è stato un fitto scambio di opinioni e riflessioni che ha portato lei ad adottare alcune mie soluzioni e viceversa. Inoltre ho proposto al curatore di lavorare con versi liberi, per evitare eccessive forzature, però cercando di imitare al tempo stes- so, come con una sorta di sre- golata “metrica barbara” applicata all'endecasillabo, una durata musicale del verso. Anche se poi vi sono diversi novenari, decasillabi, dodecasillabi, eccetera, perché la cosa più importante era di restituire in qualche modo, in italiano, la musicalità del passo originale».
Studiandolo e ristudiandolo, riga per riga, parola per parola, i protagonisti di questa impresa editoriale si sono convinti che il dramma dei Turcs (in cui un giovane di 22 anni narra il Friuli devastato dalla guerra evocando le terribili invasioni del 1499) sia uno dei grandi capolavori del Novecento da riscoprire, superiore forse ad altre più celebrate opere di Pasolini. «Questo è il nucleo incandescente da cui tutto in lui cominciò», afferma Agamben nello splendido saggio introduttivo che ci conduce nel mondo dei Colussi come in una sacra rappresentazione.

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