Recensioni / Filosofia. Il suo IO narrante è empirico e non autobiografico. Michaux nella stanza del buco, l'anti-Paradiso

La conoscenza degli abissi aiuta a comprendere l’effetto degli stupefacenti senza miti letterarie o facili euforie. È la scoperta di uno stato mentale in cui si è vittima e spettatore della propria anormalità e si scopre la propria mediocrità umana.

Cogliere il kairos Ovvero scegliere il momento opportuno. Sembrava dimenticata una qualsiasi discussione sulle droghe che non ricadesse nel quotidiano e la sua chiacchiera - per definizione, ahinoi, il più delle volte banale:. È di queste ultime settimane la polemica su leggi e quantitative, nonché il clamore suscitato dalla proposta di sperimentare le cosiddette «stanze del buco» - un’espressione che potrebbe suscitare qualche sarcastico risolino, estraneo alla retorica nostrana e alla nota ma non conosciuta mancanza di ironia e sense of humor delle mediterranee popolazioni. Comunque la si pensi, favorevoli o contrari, varrebbe la pena aprire le porte di quelle stanze, e cercare di capire di cosa si tratta. E nessuno meglio di chi. metaforicamente, in quelle stanze c’è stato, può aiutarci. Va salutata con interesse, allora, l’iniziativa dell’editore Quodlibet. che ha appena mandato in libreria Conoscenza degli abissi di Henri Michaux. Un nome che appartiene ormai all'Olimpo letterario del Novecento, riconosciuto come uno degli autori più amati e letti in Francia. Henri Michaux è stato uno straordinario esploratore della realtà. E non solo. Basti Leggere queste pagine, che raccontano le esperienze con diverse droghe che l’autore ha condotto per oltre un decennio fra gli anni Cinquanta e Sessanta - dando vita, carne sostiene Emanuele Trevi nell’ottima introduzione che serve da guida, a un libro «memorabile e inclassificabile», «ancora oggi ricca di futuro».
Unico lo è davvero: non vi si troverà nulla dei grandi temi della letteratura «drogata» da De Quincey in poi, passando per Walter Benjamin, Aldous Huxley, William Borroughs, Ernst Jünger o Allen Ginsberg. E lo si capisce sin dalla prima pagina del libro, nella quale campeggia - come fosse una dichiarazione d'intenti -l'esergo: «Le droghe ci annoiano col loro paradiso. Ci diano, piuttosto, un po' di conoscenze. Noi non siamo un secolo da paradisi». Nulla di più chiaro e netto. A Michaux non interessa affatto la verità rivelata da una qualsiasi forma di illuminazione - che invece distingue le altre esperienze; di quel periodo. La droga non è una scappatoia, ma un mezzo per percorrere in altro modo, senza freni e senza vergogna, la «mediocre condizione umana».
Movimcnto: la parola chiave per comprendere il senso di queste peregrinazioni- Movimento verso uno stato alterato, un'allucinazione, che ci conduce negli interstizi più reconditi: e qui che troviamo dei luoghi che sono gli spazi di sperimentazione di se stessi. In quelle penombre che normalmente non riconosciamo e sulle quali è gettata una luce estrema, modificando il nostro modo di sentire fino a perderla del tutto. È in questa condizione limite provocata dalla droga, «fatta per violentare il cervello» e «per demistificare», che la nostra mente è messa a nudo. Allora è possibile scorgere uno spiraglio sue suoi limiti, su come essa funziona nel momento in cui sono sovvertite le categorie- con le quali percepisce la propria esistenza, sulle sue possibilità nascoste.
Ma questa avventura non è piena di pericoli, perché l'osservatore è anche l'osservato. Michaux lo sa bene. E qui sta la sua grandezza. Nei resoconti degli esperimenti vi è la totale estraneità di un tessuto biografico, esistenziale e psicologico riconducibile in qualche modo a un soggetto determinato. Egli racconta in prima persona, ma quell'io non ha alcunché di autobiografico. È il semplice soggetto dell'esperienza, di quella determinata esperienza. Per Michaux la scrittura diventa, come l'allucinazione che racconta, il luogo di sperimentazione della propria coscienza.
Ma la difficoltà è anche un'altra: come tradurre nella scrittura quelle sensazioni visionarie e a prima vista indescrivibili prodotte da un'allucinazione'? È quasi una sfida, un paradosso. Michaux fa ricorso a tutta la sua abilità narrativa, e ricostruisce quel mondo bizzarro attraverso creazioni metaforiche, immagini create con tratti e linee, folgoranti osservazioni: ancora una volta. movimento. Scrittura in movimento. Come quando, nella seconda parte del libro, l'autore passa dal racconta delle proprie esperienze a quello degli psicotici. gli alienate che vivono in «situazioni-abissi». Qui dalla prima persona singolare si passa alla terza:Michaux non può più parlare per esperienza diretta. Ma le droghe, che egli ha usato «non tanto per provarne l’ebbrezza, quanto piuttosto per sorprenderle, per sorprendere dei misteri nascosti altrove», l’han condotto fino a questi «fratelli di nessuno». Perché chi ha fatto l'esperienza delle droghe, dell'esperienza «terribile dello smarrire il proprio centro, chissà quanta spesso abbia pensato ai suoi fratelli, fratelli inconsapevoli, fratelli di nessuno ormai, il cui disordine simile ma ancora più profondo, più disperato e tendenteall’irreversibilità, durerà giorni e mesi che diventano secoli». Chi ha usato droghe «ora sa, essendone stato vittima e spettatore insieme, che esiste un altro funzionamento della mente, molto diverso da quello normale, ma sempre funzionamento».
Michaux fa ricorso, ancora una volta, all'«anormalità» per comprendere l'uomo normale, per rovistare fra gli enigmi che si dissimulano sotto la maschera dell'esistenza ordinaria. Per scoprire infine, nellultima pagina del libro, che bisogna aver preso una droga per capire quanto la coscienza «è piccola, quanto è rara, quanto è facoltativa, quanto è poco indicata, quanto è d'ostacolo, quanto è poco noi e ancor meno il nostro bene». Michaux ha scoperto infatti una «coscienza seconda», che si oppone a un conscio «che ci lega le mani», che ci impedisce di conoscere sino in fondo tutti i meccanismi mentali - quei meccanismi singolari, straordinari e sconosciuti che «se si ha volontà di scoprirli, bisognerà dunque prendere alla sprovvista, e con lartiglieria del caso».