Recensioni / Dagli abissi, Michaux ci porta la conoscenza

Henry Michaux, 'Conoscenza dagli abissi' (Quodlibet; 214 pp; 16 euro).

L'uomo è un essere a freni perché soltanto i freni rendono il pensiero lento e utilizzabilè', infatti per natura esso sarebbe estremamente veloce, follemente velocè'. È questa forse una delle più originali descrizioni dell' uomo normalè'. Come sempre, Henri Michaux, non ci arriva per linea diretta ma per curva, alle spalle: per spiegare i maniaci e, più in generale, gli affetti da gravi sintomi psicotici, lo scrittore francese giunge ai normali. Dunque è quando si rompe un freno che impetuosamente dilaga la forza eruttiva, quel funzionamento accelerato cui il cervello non è previsto e diventa inefficace. Si rompono i freni e comincia il commercio con l'infinito: si adopera l'Illimitato, l' unico abitante sulla terra dell' Immaterialè', l' eccitato, l'esaltato che si vede Dio. Michaux - come sempre- in una sorta di eziologia medico-narrativa sembra entrare nei corpi di questi folli e dal di dentro urlare per spiegarci cosa vede e sente, impersonificandosi e identificandosi con quelli. Conoscenza dagli abissi è un'opera divisa in due parti, la prima sulla sperimentazione della droga scivola fino alla malattia mentale in sue varie forme. Non si tratta del primo lavoro di Michaux sulla droga: quando nel 1961 Gallimard pubblico' la prima edizione di Conoscenza dagli abissi sull' argomento Michaux aveva già scritto Miserable miracle (1956) e L'infini turbulent (1957). Erano anni di scoperte, di rivoluzioni tecnologiche e di mondi che mutavano rapidamente sotto la spinta del progresso economico, anche per dimenticare i dolori della guerra. Nello sviluppo della sociologia e della psicologia nonché delle discipline scientifiche, le sostanze stupefacenti diventano la chiave per capire i meccanismi cerebrali, come il negativo di una fotografia. Narrativamente, l'argomento attrae e in molti lo affrontano. Emanuele Trevi nell' introduzione ricorda Le porte della percezione (1959) di Aldous Huxley, Il pasto nudo (1959) di William Burroughs, Io diviso (1959) di Ronald Laing, Il libro di Caino (1960) di Alexander Trocchi. Più tardi sarà la volta di Allen Ginsberg, Carlos Castaneda ed Ernst Junger. Non è ancora il periodo della droga spacciata, delle generazioni di giovani ribelli obnubilate se non cancellate dall' eroina, quello di Michaux è ancora la fase della sperimentazione. Lo scrittore entra in ospedale e i medici gli somministrano dosi di mescalina o altre droghe allucinogene osservandone e annotandone le reazioni. Alle speculative descrizioni mediche si affiancano quelle artistiche dello scrittore che, facendo forza su stesso, tenta in ogni modo di lasciarsi andare al viaggio e, contemporaneamente, di restare aggrappato alla realtà per descrivere ciò che lì gli accade. Ciò che scrive è interessante: la mescalina, ad esempio, dà la sensazione di tempi notevoli, una quantità immensa di momenti che si susseguono prodigiosamente', di uno spazio fatto d'innumerevoli puntini (e tutti molto 'staccati'). La mescalina è quella sostanza che non orizzontalizza quasi mai. Ma proprio perché l'autore è lacerato dall' abbandonarsi e dal richiamarsi il risultato dell'operazione è narrativamente medio. Al contrario, quando Michaux si infila nelle personalità folli al lettore si schiude un nuovo orizzonte. La casa editrice Quodlibet, che sta ripubblicando tutta l'opera dello scrittore francese, è con questo al terzo libro.