Uno così schifiltoso non l'ho mai visto.
Tutto il giorno era dietro a lavarsi le mani.
Teneva il manico della tazza del caffè
verso l'alto, dritto al naso,
beveva dove non beveva nessuno.
D'estate l'aranciata
la prendeva sempre con la cannuccia.
E anche nelle baldorie
guai a sbagliare bicchiere,
aveva schifo di tutti, un ultimo dell'anno,
che gli era caduto per terra il cucchiaino,
ha lasciato lì a metà la zuppa inglese.
Non stringeva la mano a nessuno,
con la gente stava sempre un po' lontano,
e quando qualcuno si riscaldava
nel parlare e gli veniva troppo vicino,
e per di più magari sputacchiava un po',
lui si strisciava una mano sulla faccia,
come non volendo, come se si grattasse
la barba, e poi invece la mano
se la fermava aperta sotto il naso,
contro la bocca.
Che mettersi a sedere su una sedia calda
da cui s'era appena alzato qualcuno
preferiva piuttosto stare in piedi.
Quando viaggiava in treno
non toccava mai niente, e nello scendere
si prendeva alla maniglia con due dita.
Ogni tanto si faceva rapare a zero
per rinforzare i capelli, ma anche
perché i capelli erano un ricetto
di polvere, di porcheria, di microbi.
Aveva sempre paura delle infezioni,
di prendere le malattie, che gliele attaccassero.
Nominava spesso la Tina di Zioli,
che da ragazza
nel grattarsi un foruncolo con le mani sporche
s'era fatta venire il sangue
e tre giorni dopo aveva quaranta di febbre
e non c'è stato niente da fare.
A un cane non ha mai fatto una carezza,
nello spaccio non l'hanno mai visto leccare
un francobollo.
Era sempre pulito, anche un po' profumato
perché il profumo in fondo disinfetta.
E col tempo la gente ha capito,
non gli stavano vicino,
il barbiere aveva un rasoio solo per lui,
non gli domandavano in prestito nemmeno il
giornale.
Ma non è bastato. È morto tisico a trent'anni.