Recensioni / La Berlino espressionista, fucina di artisti ed avanguardie

Progetto Metropoli. La Berlino dell’espressionismo (contenuto all’interno de Atlante della letteratura tedesca, ed. Quodlibet, 640 pagine, 37,50 euro) di Antonella Gargano, docente di letteratura tedesca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, traccia un mappa del movimento culturale della Berlino alle prese con la svolta del secolo. Attraverso referenze letterarie, architettoniche e artistiche in generale, il libro presenta una descrizione della città segnalando in particolare quali fattori contribuirono a rendere la Capitale della Germania parte determinate dell’insorgere della rivoluzione culturale: «Le strade della città, i suoi incroci, i suoi ponti e i suoi gasometri (…) sono “il mondo furori” e “il mondo dentro” degli espressionisti nel momento in cui diventano soggetto della loro creazione artistica».
Durante la prima decade del secolo XX la metropoli tedesca si estendeva fra un’architettura di contrasti. In parte vi erano numerose costruzioni non terminate a causa dell’insufficienza monetaria, contesto che dotava la città di un’aria decadente e trasandata; dall’altra vi era un’infinita intersezione di vie dove vi albergava un’architettura d’avanguardia, che divenne il laboratorio della costellazione artistica. Il Grosses Schauspielhaus, il Filmtheater Babylon, il Salon Cassirer o la Galerie van Diemen sono alcuni esempi del profilo della Berlino espressionista. Anche i caffè della città, come il Romanisches Café o il Café des Westens, formavano parte dell’efflorescenza artistica e della diffusione culturale, offrendo ospitalità ai comizi intellettuali e ai cabaret notturni.
In questo scenario un nuovo dogma muoveva la sperimentazione artistica.Una crescente agitazione emozionale fu indotta dalla ricezione dei postulati di Nietzsche (il cui anno di morte coincide con l’inizio del nuovo secolo). L’individuo assalito dall’alienazione, causata anche dalle trasformazioni spaziali e demografiche della urbe moderna, rigetta i valori vigenti nel passato ed intraprende un cammino, tracciato dal nichilismo, in cerca della liberazione personale. L’interpretazione e l’intendimento della realtà attraverso la rappresentazione figurativa perde di veridicità. Si vive un capovolgimento delle categorie esistenziali che porta a una rivoluzione culturale mirata a ricostruire i termini della dualità fra il razionale e il soggettivo. In questo contesto il vitalismo proclamato da Nietzsche diventava per gli espressionisti del primo Novecento un punto di partenza per ricostruire e rinnovare la vita interna del soggetto.
Nel circolo filosofico letterario uno dei punti di riferimento era il Der Neue Club, fondato da Erwin Loewenson, Kurt Hiller, Jakob van Haddis e Robert Jentzsch. Le ideologie perseguite dai membri sono riassunte nell’antologia curata da Kurt Hiller, Der Kondor. Nella prefazione si fa riferimento al pathos, percepito come un nuovo sentimento che funge da guida per l’emancipazione dell’individuo. «Pathos va intenso non come atteggiamento manieristico di sofferenti figli dei profeti, bensì come gaiezza universale, come ristata panica.Così si comprende anche che non riteniamo affatto cosa indegna e rozza spargere filosemi tra chansons e (celebrale) comicità: al contrario, propio perché per noi la filosofia ha un significato non scientifico, ma vitale e non è disciplina, lavoro, moralità, ma esperienza, ci sembra che sia adatta più a un cabaret che a una cattedra o un saggio ponderoso».
Si posizionanorono in linea con questo nuovo pathos anche le arti plastiche e figurative. Il razionalismo venne sostituito dal vitalismo, ovvero dalla soggettività e dalla primazia degli istinti. Gli espressionisti assunsero un atteggiamento antimaterialista e anti-naturalista: il nuovo artista rispondeva alla chiamata dei sensi e abbandonava l’estetica in un piano d’importanza inferiore. Berlino accoglieva e ascoltava il dialogo e lo scambio fra i linguaggi artistici convertendosi nel luogo d’incontro di nuove espressioni e possibilità. «Berlino era la mia occasione», commentava a tal proposito George Grosz, «nelle gallerie accanto a Cézanne e van Gogh si esponevano anche i più giovani pittori francesi come Picasso, Matisse, Derain e altri che cominciavano allora ad essere conosciuti (…). A Berlino c’erano teatri meravigliosi, un circo gigantesco, cabaret e riviste, (…) mostre futuriste».
Erano i meravigliosi anni Venti del secolo scorso. Tanto tempo fa.