Recensioni / Un salto sopra gli abissi

Camilla Miglio
Vita a fronte saggio su Paul Celan pp. 288, € 22, Quodlibet, Macerata 2005

Paul Celan e Harrison Birtwistle
I silenzi della poesia e le voci della musica
a cura di Luigi Forte, pp. 109, €15, Edazioni dell’Orso, Alessandra 2005

Su Paul Celan (alias Paul Antschel) e sulla sua opera, come noto, anche la ricezione italiana ha offerto, specialmente nell'ultimo decennio, contributi di alto profilo, con la pubblicazione degli Scritti  rumeni (Campanotto, 1994), della Corrispondenza fra Celan e la poetessa Nelly Sachs (il melangolo, 1996) e soprattutto con l'edizione italiana delle Poesie celaniane (Mondadori, 1997) e con l’ampio volume di testi inediti Sotto il tiro dei presagi  (Einaudi, 2001). Molti lati della sua personalità e della sua poetica continuano a sollecitare e inquietare gli studiosi, anche a causa del rilievo e della portata epocale dei temi da lui dibattuti a livello sia esistenziale e umano che socioreligioso.
Due rilevanti occasioni per rivisitare e ampliare i molti piani di discorso del grande poeta romeno sono ora offerte, per un verso, da un'acuta e attenta monografia a opera di Camilla Miglio (basata su una ricca serie di materiali inediti in italiano, costituiti sia dai carteggi che soprattutto dal lascito degli appunti presenti all’archivio Celan conservato a Marbach) e, per l'altro, della pubblicazione degli atti di un importante convegno internazionale svoltosi a Torino presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza nell'autunno 2004 su iniziativa dei responsabili di Settembre musica.
Nel libro di Miglio, la vicenda intellettuale e umana di Celan viene ricostruita sul piano ermeneutico e filosofico e ripercorsa storicamente all'interno della grande migrazione intellettuale da est verso ovest, come conseguenza degli sconvolgimenti causati dal nazionalsocialismo nel cuore dell'Europa. Ne esce disegnato un itinerario attraverso i luoghi in cui si applica la memoria, una memoria che "assume le voci degli insepolti" e "si riconosce nei nomi di un testo-paesaggio" del quale entrano a far parte Bucovina, Ucraina, Mar Nero, Caucaso, ma anche Odessa, Voronez, Brest, la Siberia e più in generate la Russia, mescolandosi dialetticamente con i loci dell'Occidente: "Guarda a est Celan, perché la poesia, la parola - in tedesco - agiscano nella riconfigurazione dei loci sommersi, e diventino poesia tedesca scritta in Francia, pubblicata in Germania". Un importante capitolo del libro (La biblioteca dei Nomi), basandosi sui libri posseduti e chiosati da Celan, offre una serie di puntuali riscontri a proposito del reimpiego di motivi ebraici nella sua produzione. Vengono cosi documentati i molti echi in lui prodottisi soprattutto a partire dalla lettura dei principali testi di Gershom Scholem (il reimpiego della simbologia della Kabalah specialmente in raccolte come Fadensonnen), di Martin Buber (la figura del poeta come colui che vive anche nell'Altrove, che sta dentro alle cose e insieme fuori di esse), di Franz Rosenzweig (la ricerca di una difficile e forse impossibile "rima" fra Dio, mondo e creature) e di Walter Benjamin (la "memoria" in quanto custodia delle impressioni, in quanto cicatrice che cresce vistosa sui segni lasciati da un dolore).
E si precisano le "convergenze" con quei grandi maestri dell'ebraismo novecentesco, ma insieme anche il senso di "estraneamento" di Celan - il suo restare "a fronte" - nei riguardi dell'ebraismo stesso. Di rilevante interesse appaiono anche le analisi delle traduzioni di Celan da altre lingue, intese come ricerca di identificazione con gli autori via via scelti (Ungaretti, Valery, Apollinaire, Mandel'stam) quasi a voler ricomporre nel dialogo con loro la propria identità messa a dura prova dal trauma postbellico. Il tradurre poesie si viene a configurare come '' qualcosa che assomiglia al "salto" che ha luogo "al di sopra degli abissi delle lingue" (come egli avrebbe affermato nella sua conferenza Il meridiaano, 1960). Con prospettive anche originali, Camilla Miglio rivolge l'attenzione alle sottili deviazioni di senso introdotte da Celan (con commenti analitici di molti anche già noti testi celaniani) e anche alle sue singole scelte traduttorie, laddove è evidente nel poeta di Czernowitz il restare "a fronte" anche nei confronti della sua lingua materna (il tedesco), percepita insieme come vicina e come straniera.
La raccolta degli atti del convegno torinese, dal canto suo, è scaturita dal desiderio di documentare il particolare interesse nutrito verso la poesia di Paul Celan da vari compositori (tra i quasi Berio, Erbse, Ruzicka, Rihm, Karkoschka e Birtwistle), poiché essa instaura una singolare interazione fra immagine, parola e musica e dato che comunque la lingua frantumata e  quasi "raggelata dal dolore" (Luigi Forte) che ne costituisce l'ossatura appare anche molto vicina alla musica. Di fatto, comunque, il volume è ben più ricco e composito di quanto non lasci intendere il suo titolo. Presenta infatti una serie di approcci (di Roman Vlad, Giusep­pe Bevilacqua, Jean-Marie Valentin, Gert Mattenklott, David Osmond-Smith e Luigi Forte) in cui si sono venute ad affiancare testimonianze dirette e curiositòà biografiche, riflessioni sul linguaggio del poeta rumeno, sulla sua ricezione recente (in partico­lare in Francia), sulla sua identità ebraica e sul suo problematico rapporto con filosofi del calibro di Adorno e Heidegger.
Davvero prezioso sotto il profilo storico e umano si può considerare, in particolare, l’ intervento quasi autobiografico del musicologo Vlad (nato a Cernauti nel 1919, un anno prima di Celan, e suo iniziale compagno di studi) che riesce a offrire un'indimenticabile ricostruzione della comune città natale, della sua mutevolezza toponomastica, delle istituzioni scolastiche cittadine, della collocazione storicogeografica della Bucovina e delle sue alterne vicende, offrendo poi un esemplare commento della celebre Todesfuge nel suo "soggetto" (gli ebrei in quanto vittime) e nel suo "controsoggetto" (i tedeschi in quanto carnefici) e in generale nel suo "assunto immaginifico", arricchito anche dalle riflessioni sulle corrispondenze meramente "virtuali" con le tecniche costruttive della più solenne delle forme musicali: la fuga. Sulla Todesfuge verte - da ben altra prospettiva - anche l'intervento di Mattenklott, incentrato sui rischi, per l'arte, di estetizzare con il passare del tempo l'orrore e di renderlo plausibile. Stimolanti e intense si rivelano, fra i vari interventi, infine le pagine in cui Ugo Perone ripercorre gli incontri e gli "incontri mancati" tra Celan e grandi filosofi del suo tempo: Adorno, anzitutto, e poi Heidegger, Buber e Benjamin.
Due acquisizioni importanti si direbbero scaturire da questa miscellanea: da un lato la poesia celaniana si rivela senza ombra di dubbio come una confutazione del celebre assioma di Theodor Adorno "Scrivere una poesia dopo Auschwitz èun atto di barbarie" e, dall'altro, essa può ben dirsi - con le parole di Luigi Forte - "tutt'altro che una mimesi della Shoah".