Recensioni / Il pugile tramortito dall’uppercut di Nietzsche scrisse racconti di guerre e contadini

L’autore è stato anche un pugile, campione del Friuli dei pesi leggeri, perciò mi domando: si sente il pugile nello scrittore? Sì, si sente. Il pugile non ha mai un uomo davanti, sempre un bersaglio, lo picchia seguendo l'istinto, non le regole. Il suo, tra tutti gli scontri possibili, è il più selvaggio e primitivo. Non ha strumenti, ha solo le mani. Questo autore non aveva niente a disposizione, neanche una scrivania. Scriveva su un quaderno, poggiato sulle ginocchia? Non mi stupirebbe. Pescava tutto dalla memoria. Quel che racconta (guerra, battaglie, fughe, esodi, e campagna, lavori, contadini) l'ha visto quand'era piccolo. E un vantaggio, il cervello dei piccoli ha la pasta molle, tutto vi s'imprime in profondità e vi resta. Trasanna descrive scene d'antan, ma è come se le vedesse oggi.
Da piccolo che osserva la Grande Guerra, è affascinato dalle «grandi masse», dal reggimento in su. Perciò non parla mai di singoli soldati (non c'è un solo ritratto di uomo qui), ma sempre di «fanterie», «divisioni», «eserciti». È incantato dalla grandezza. Due volte cita l'imperatore austriaco, una volta per definire il suo esercito «le brigate di Josef», un'altra volta per descriverlo in un sogno. L'arco di tempo di questo libro abbraccia la Grande Guerra vista da Udine (che è uno stupendo osservatorio, da lì si vede o si sente tutto, l'inizio delle ostilità, le fanterie che passano interminabili, le sconfitte fatali, cioè volute dal fato, la ritirata, con i profughi che ai figli dei contadini che li vedono passare strappano grida di meraviglia, «oh i profughi, oh i bei profughi!», perché sono un mirabolante evento nell'immobilità della vita), la ritirata italiana e poi la ritirata austriaca, l'intermezzo fra una guerra e l'altra, la vita rurale, la pace inquieta e minacciosa, i prodromi del fascismo, la fascinosa attesa di ordine.
È dunque un libro storico? No, la storia vista da bambino è leggenda, che è più bella ma meno vera. È un romanzo? No, anzitutto perché non è unitario, è una sequenza di spezzoni, e poi perché non ha un protagonista, mai un uo- mo sempre masse. È, come dice qui l'appendice, un «po- ema»? È la definizione che gli s'adatta di più, un poema epico e bucolico, con protagoniste masse di soldati e masse di contadini. Il narratore-pugile lotta contro le masse, per costringerle a entrare nello spazio angusto della sua prosa, che è uno spazio caotico e disordinato, com'è caotica e disordinata ogni guerra. E lotta da pugile, cioè con guizzi salti percosse ritirate istintive, come qui: «Dopo trecento giornate, e i periodi di fuoco acceso ogni sera sui terreni montani di alto e medio Isonzo, o Isonzo pianura, Carso non nominabile e paludi Lisert; dopo gli scavamenti sulle alture a riparo di tutte le età, e la stesa dei filamenti spinosi, era venuta la grande saltata delle trecentomila fanterie sulla Gorizia da basso». O qui, dove le cifre iperboliche sono esagerate per ebbrezza: «Spinti dai venti freddi vengono al fiume ottocento macchinari, altri seicento sulle altitudini e poi otto giornate di fuoco delineano colline sulle campagne. Mille squadre di barche si avvicinano con remi sciolti e pertiche, e molti chilometri di ponti».
In attesa di salire sul ring, a Milano, Trasanna si trovò a leggere Al di là del bene e del male di Nietzsche. Il libro lo tramortì come un uppercut. Si dimenticò di salire sul ring, ma scopri la sua nuova passione: i libri, la scrittura. Morirà giovanissimo, di malattie e malnutrizione. lascia i suoi libri, disorganici ma lampeggianti. Ho segnato i lampi. Ogni tanto li ricercherò, li ho segnati per ritrovarli subito.