Recensioni / Le lacerazioni di Foglio di via, esordio di Fortini

Tutti avrebbero voluto Fortini, ma nessuno alle sue condizioni. in morte è stato consegnato con pietà alla storia. Gli onori non sono mancati ma la scena, tutte le generazioni incluse, sembra sollevata dal non sentirsene continuamente sfidata e giudicata senza amenità». Rossana Rossanda ha descritto così la difficile eredità di Fortini, pensando alla sua «posizione» ideologica. E ancora: «Fortini giace insepolto fuori delle mura». Queste parole di Rossanda - con la raffigurazione del violento scontro tra Fortini e la polis - vengono in mente tornando a percorrere le terzine di una sua ben nota poesia, La città nemica: «Quando ripeto le strade / che mi videro confidente / strade e mura della città nemica...». Ora la lirica si può rileggere in Foglio di via e altri versi (ed. critica e commentata a cura di B. De Luca, Quodlibet, pp. 367, € 26,00). Proprio il commento - oltre all'elaborazione variantistica, documentata a piè di pagina - costituisce il miglior guadagno di questa riproposta del libro d'esordio fortiniano (1946). Quanto alla poesia appena citata, per esempio, le note di De Luca rimandano persuasivamente al modello della sestina dantesca, e al contempo sfruttano la corrispondenza di Fortini per informare che proprio i11939 - l'annodi stesura della stessa lirica - è anche l'anno della traduzione 'privata' dell'epistola dantesca A un amico fiorentino: ovvero la lettera dell’exul inmeritus, che funziona dunque da occasione fortemente autoidentificativa. Ma già attraversando la raccolta d'esordio ci si accorge che, per intendere la lirica-pensiero di Fortini, non basterà appoggiarsi alla sola dimensione della contingenza storica: Fortini vive un esilio, una lacerazione netta nella coscienza soggettiva, che non sembra potersi definire solamente come un portato dell'«impegno» politico fortiniano, quanto piuttosto come uno dei tratti decisivi della grande poesia della modernità (sia o meno, questa, esplicitamente compromessa con la storia). Così almeno suggerisce il suo rapporto con Leopardi, qui - sulla scia di Lenzini - ben valorizzato nel cappello a un testo come l'elegia Di Porto Civitanova, ricordando il Fortini saggista: il quale più tardi - nel 1981- interpreterà un verso del Tramonto della luna leopardiano come indice inconfondibile di una compiuta crisi del rapporto fra io e mondo (con l'uomo ormai «fatto estrano» alla terra). In questa chiave, e pensando alle pendici ultime della poesia fortiniana - vedi un libro come Composita solvantur, la raccolta di congedo del '94 - Foglio di via si pone davvero come la radice quadrata del fare poesia fortiniano, e ci dice intanto qualcosa anche dei suoi compagni di strada. Basterà l'esempio di Montale, a lungo un idolo polemico per Fortini, la cui poesia si insinua tuttavia già qui nella memoria dell'io lirico, e specialmente nelle cinque Elegie, dove s'indovina, tra il resto, il ricordo dei Mottetti: «Un'ala ha sfiorato la spenta laguna, si flettono lente / nei cerchi d'acqua bruna le luminose nebbie»