Discendiamo dal Big bang, dal fuoco, dall’acqua, dai pesci, dalle scimmie, dai gorilla,
dal caos, dal peccato, da Dio. Chissà. È più
facile dire cosa siamo. Esseri umani, esseri, essere.
Trama, nel senso di racconto e quindi, prima
ancora, discorso (logos, per dirla alla liceale)?
Non solo. Siamo trama nel senso di ordito,
stoffa, tessuto. È questa l'intuizione fenomenale
che Isabella Ducrot, pittrice e scrittrice, ebbe
davanti all’Annunciazione di Simone Martini,
agli Uffizi, molti anni fa e che adesso ha deciso
di raccontare ne La stoffa a quadri (Quodlibet).
C'è, in quel trittico, un dettaglio che è
anche una rarità in tutta la storia della pittura e
probabilmente un inedito in quella contemporanea
al Martini: il Nunzio che saluta la Madonna
indossa una tunica per metà ramata e per
metà di comunissima stoffa a quadri. La scena è
quella del Vangelo di San Luca: un Messaggero
di Dio scende sulla terra, arriva da un luogo assai
lontano e si presenta a una ragazza, la saluta,
le dice che diventerà presto la madre del figlio
di Dio e lei indietreggia e inarca il ventre,
piena di grazia e di terrore. È in quel momento
che nasce Cristo: viene rivelata al mondo la sua
venuta. Un momento supremo, generativo, sacro,
perfetto, che «un artista medievale sceglie
per rappresentare il flusso della storia costretto
a fermarsi, piegato a onorare la potenza del
verbo incarnato» e che, quindi, deve (dovrebbe)
essere rappresentato senza rimandi al quotidiano,
all’ordinario, al troppo umano. E invece
no. Martini, in mezzo a oro e aureole e allori e
broccati, piazza un tessuto da camicetta grunge
anni Novanta, da pezzuola mangia polvere, da
tovaglia d’osteria: l'ordinarietà assoluta che,
peraltro, rimanda all'operosità più viva, quasi
servile, e non alla contemplazione. Sembra
un'insensatezza, un errore. Allo sguardo attento
di un'esperta, invece, appare come qualcosa
da interrogare, investigare: «Quell'elementare
disegno a quadri fu percepito da me come una
notizia sigillata, un rebus». La funzione fa l’uso,
pensiamo. Per questo non daremmo mai a uno
straccio di stoffa (a quadri o no, di cotone o seta)
la chance di essere un punto d’osservazione, o
un'incrinatura da cui si dipana un senso inatteso:
la riteniamo confinata a un impiego servile.
Ducrot, invece, ci invita a guardare anche soltanto
attraverso un lembo: prendi un tovagliolo
a quadrettini, guardalo in controluce, ritrovaci
qualcosa dite, risali a un'ontologia.
Non è una coincidenza che «avere stoffa»
significhi avere talento. Nell'artefatto tessile
l’uomo ha riprodotto la sua propria struttura
mentale: è questo che, secondo Ducrot, Martini
ha voluto suggerire dipingendo una tunica
per metà di seta e per metà di stoffa addosso a
colui che annuncia il concepimento del figlio
di Dio, e il suo farsi uomo tra gli uomini. Come
mai nessuno storico dell'arte si è soffermato
sull'unicità di quel dettaglio? Come mai hanno
tutti dato per scontato che le Madonne
debbano ascendere al cielo avvolte in manti
pregiati e quando un velo a scacchi è comparso
nella scena dell'Annunciazione non si sono
interrogati? Probabilmente non l’hanno
notato nemmeno. L’abitudine acceca.
Nella storia dell'arte, del resto, la stoffa a
quadri appare di rado, comincia a farsi viva
nel Settecento e poi, moltissimo, nel Novecento,
perché è la stoffa degli stracci, della vita
umile, degli attori non protagonisti: le donne
e i bambini. «L'umiltà della fodera, del
femminile e dei quadrettati mi apparivano,
in quel quadro, congiunte», scrive Ducrot, segnalando
così l'altra grande innovazione di
Simone Martini: richiamare il femminile non
attraverso un simbolo di grazia, ma di operosità
umile, ingegnosa, concreta. «Non siamo
consapevoli di avere tra le mani, tutti i giorni,
esemplari di quel manufatto sorprendente
che è il tessuto, forse il più antico prodotto
dell'ingegno umano». Un prodotto che non riporta
semplicemente la traccia dell'intelligenza
umana, ma pure la sua meccanica: la
struttura tessile è, secondo gli studiosi di linguistica,
la più prossima immagine delle forme
e delle categorie del pensiero.
Diversamente dalle strutture più complesse
come gli arazzi o i broccati, poi, nota Ducrot
che la stoffa a quadri non nasconde la
struttura tessile: in essa «ciò che si mostra
coincide con ciò che sottostà, e questa coincidenza
è gridata ad alta voce».
Diciamo che la specificità umana è l'attività
senziente. Nell'arte figurativa, questa specificità,
ovvero l'umanità dell'uomo, è simboleggiata
dalla veste: essa rappresenta «il portato
più avanzato e definitivo di questa materia
più originaria di cui è fatta ogni cultura».
Prendi uno straccio, osservalo in controluce,
trovaci Dio, trovaci l'uomo.