Recensioni / Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi di Giulio Azzolini

Giovanni Arrighi non è un pensatore sufficientemente valorizzato nel panorama italiano e sono pochi i luoghi che dedicano un qualche spazio a riflessioni su questo storico ed economista. Eppure Arrighi è importante nel dibattito internazionale a proposito del capitalismo e della sua storia; esempio ne sia il suo ruolo nella discussione seguita alla pubblicazione di Impero di Toni Negri e Michael Hardt. Dai post-operaisti Arrighi era considerato, pur nel forte disaccordo, un interlocutore di prim’ordine.
Per questo la pubblicazione di una monografia su Arrighi è una buona notizia. Capitale, egemonia, sistema di Giulio Azzolini, oltre ad essere una novità per il solo fatto di trattare di Arrighi, ha il pregio di affrontare la sua opera dall’inizio alla fine, cogliendone i punti salienti in un numero di pagine ammirevolmente ridotto; pone con chiarezza gli elementi di contatto con altri autori, scuole e correnti di pensiero; colloca Arrighi nel suo tempo storico ed anche nella sua dimensione di militante politico all’altezza degli anni Settanta. Fare una recensione di un testo simile significa quindi porsi, non senza un qualche grado di arbitrarietà, l’obbiettivo di riportare alcuni fra questi tanti elementi. L’arbitrio sta, appunto, nel fatto che non tutti potranno essere qui trattati. Il testo che discutiamo, peraltro, si presta con facilità, data anche la buona scorrevolezza che lo contraddistingue, ad essere sfogliato e letto da chiunque lo voglia. Non ci concentreremo eccessivamente sugli esiti più noti del pensiero dell’Arrighi maturo, che sono già stati trattati, su Pandora, in recensioni apposite. Qui è possibile trovare la recensione a Il lungo XX secolo e qui e qui quelle a Adam Smith a Pechino.
Può facilitarci il compito il fatto che in effetti si potrebbe dire che il senso della riflessione arrighiana è quello di dare ragione della crisi all’interno del sistema capitalistico. Questo presuppone, com’è evidente, una definizione di tale sistema, ma non è l’obbiettivo del suo pensiero. Già la formulazione della questione in questi termini «la crisi all’interno del sistema capitalistico» non è affatto scontata, come vedremo.
Non è un caso che il suo primo interesse, all’inizio degli anni Settanta, fosse quello del sottosviluppo, soprattutto nel continente africano. Arrighi, spiega Azzolini, giunse attraverso una serie di ricerche anche sul campo in Africa (che proseguiranno, anni dopo, nella nostra Calabria) a sviluppare l’idea che il sottosviluppo africano non fosse una congiuntura storica determinata, dovuta alla mancanza di un processo capitalistico avanzato che, se implementato anche in quel continente, avrebbe «tirato fuori» dalle sacche della povertà l’Africa: il sottosviluppo era invece una conseguenza di un forte sviluppo capitalistico nei paesi avanzati (mondo Occidentale), le cui grandi multinazionali erano la causa prima del fenomeno in questione. Da queste primissime ricerche (su quella che potremmo definire una crisi infinita – cioè quella dei paesi sottosviluppati) Arrighi comprenderà in primo luogo che il capitalismo è sempre un fenomeno inter-nazionale, che agisce su scale che non sono quelle del singolo Stato, e che «il sottosviluppo della periferia è l’altra faccia dello sviluppo del centro». Abbiamo quindi qui la nascita di una prima idea di Arrighi, naturalmente ad uno stadio ancora embrionale: l’idea che il capitalismo sia sempre un sistema-mondo, che non si dia mai come tale nei singoli stati nazionali, che le differenze tra questi si danno solo sullo sfondo in un sistema-mondo che le stabilisce.