Recensioni / Leggere Simone Weil

Leggere Simone Weil di Giancarlo Gaeta, il traduttore che ha determinato con l’editore Adelphi la più grande stagione di conoscenza dell’opera della filosofa francese in Italia, è un libro molto importante che già nel titolo concentra l’attenzione sulla centralità e la problematicità del leggere, che non è una modalità di conoscenza della realtà come altre, ma è (o meglio può essere), anche per la stessa Simone Weil, un metodo privilegiato di conoscenza, di quella conoscenza che diventa carne e sangue del lettore. E Gaeta non tace il suo approccio problematico con la Weil: «segnato dalla coscienza di una distanza irreducibile, di una alterità che mi si rivela un enigma impossibile da sciogliere per le vie ordinarie di una lettura distaccata, così forte era il potere d’interrogazione che veniva da quella esperienza» (p. 9).
La circostanza per affrontare questo tema è stata la presentazione del saggio alla presenza dell’Autore che è stata fatta a Venezia nell’Archivio Nono giovedì 28 marzo. È stata una iniziativa promosso da Serena Nono che ha coinvolto in una preparazione accurata sia l’Autore, sia l’attrice Ottavia Piccolo sia il sottoscritto. Con Serena avevo il compito di porre qualche domanda iniziale per avviare l’incontro. Oltre alla lettura di alcuni passi significativi e rivelatori della Weil da parte della Piccolo, erano stati scelti alcuni brevi intermezzi musicali; come risulta nell’invito, non ci siamo fatti mancare nulla. E di questo i convenuti tra cui una decina di studenti universitari si sono dimostrati ben consapevoli.
Abbiamo ascoltato e parlato per oltre due ore e mezzo senza segni di stanchezza; è successo che il materiale preparato è risultato del tutto eccedente e buono per un seminario di più giorni, malgrado la stragrande maggioranza dei presenti non avesse avuto l’opportunità di prendere in mano il saggio di Gaeta. Anche per me, che pure da un anno avevo il libro in casa, la scadenza della presentazione è stata una corsa (piacevole e stimolante) contro il tempo per arrivare preparato, avendo cioè completato la lettura del saggio di Gaeta; tanta è la ricchezza del materiale presente, che non solo raccoglie quanto egli ha scritto nel corso di decenni, nelle premesse alle opere della Weil da lui tradotte, ma anche aggiunge la sua rivisitazione dei testi, e una significativa e ricca presentazione, in cui il traduttore diventa interprete non solo dei testi tradotti, ma del pensiero della Weil. Eppure, nonostante ciò, il saggio non ha trovato accoglienza nel consueto editore dei testi della Weil tradotti da Gaeta, ma in Quodlibet, editore di qualità certo, ma piccolo rispetto ad Adelphi.
Nel raccontare le varie domande che si è posto nel suo rapporto con la Weil, Gaeta si chiede: «come trovare una via d’accesso al significato di un insieme compatto di scelte di vita che rimandano, per usare le parole stesse di Weil, a «una specie di legame nascosto che dà valore alle azioni di ciascuno e che non è spiegabile «?». La problematicità dell’operazione si coglie quando a questo interrogativo si aggiunge l’altro caposaldo posto da Gaeta e cioè «che non c’è nulla che allontani da un confronto reale con il pensiero reale di Simone Weil quanto il tentativo di ricondurlo all’attualità, come se avessimo oggi maturato condizioni storiche tali da rendercelo comprensibile e attuabile in qualche misura, quando già a pochi anni dalla sua morte e la fine della guerra fu chiaro a lettori del livello di Camus e Mounier cheera passato il momento propizio in cui un pensiero così necessario avrebbe potuto trovare ascolto; già allora era mancata l’avvertenza di quanto fosse urgente muoversi nel senso della maggiore discontinuità con tutto ciò che nell’ordine della cultura e della politica aveva contribuito a una crisi epocale». (p. 15)
Per mettere in evidenza la complessità di un approccio al pensiero della Weil che tenga conto di queste premesse, forse può essere utile riportare tutte le domande che avevo preparato per la presentazione all’Archivio Nono, dove ho potuto formularne solo due. La cosa può risultare meno cervellotica se appaiono, ché così ho cercato di pensarle, come questioni poste all’Autore per ripercorrere i nodi principali del Leggere Simone Weil, in modo che i presenti fossero invogliati a leggere il saggio avendo a disposizione qualche informazione previa.

Ecco quindi le domande che compongono un’intervista virtuale completa all’autore, quale avrei voluto fargli.
1. Nel tuo saggio racconti le interessanti vicende editoriali della Weil che sono state e sono non prive di incidenza nella fortuna e nella ricezione del suoi messaggio. Si parva licet componere magnis, anche questo tuo libro pone qualche interrogativo visto che lo pubblica un editore di qualità, ma minore rispetto alle stesse tue fortune di traduttore ed interprete della Weil. Come sei giunto a Quodlibet? E sulla copertina, dove l’editore la fa da padrone sullo stesso autore, quello splendido spazio bianco è casuale o ha un senso specifico in relazione a questo tuo saggio?
2. Nella tua premessa metti le mani avanti circa la domanda sull’attualità del pensiero della Weil e parli dell’inutilità del tentativo di ricondurvelo, sostenendo che proprio nella sua assenza dall’attualità sta la sua forza per ciascuno di noi, oggi. Convieni che non c’è pensiero che conti se sa penetrare la carta, come afferma la Weil per il pensiero storico (p. 63) e più avanti a p. 73 chiarisci quale sia l’unico progresso possibile («il progresso sociale viene allora a dipendere non da una necessità storica indefinibile, ma dalla possibilità per gli individui di agire responsabilmente in una realtà sociale chiaramente definita»). Allora ecco la domandona: che dire e fare di fronte alle magnifiche sorti della intelligenza artificiale e delle manipolazioni genetiche?
3. A p. 83 tu individui il passaggio della conversione della Weil non ad Assisi (p. 237), ma nella riflessione sulla condizione operaia («lentamente – scrive la Weil – soffrendo, ho riconquistato attraverso la schiavitù il senso della dignità del mio essere umano, un senso che questa volta non si fondava su nulla di esterno, sempre accompagnato dalla coscienza di non aver diritto a nulla, e che ogni istante libero dalle sofferenze e dalle umiliazioni doveva essere ricevuto come una grazia, come il mero risultato di favorevoli circostanze casuali»). Una visione della conversione che riduce l’enfasi religioso – cattolica sulla conversione della Weil, ma in qualche misura riporta a straordinaria attualità il tema della conversione in questa temperie storica: è quindi fondamentale l’assunzione di responsabilità individuale? Resistenza e resilienza sono dunque parole d’ordine attuali?
4. A p. 100 riferisci della persuasione maturatasi nella Weil della l’impossibilità della rivoluzione: una critica che riguarda non solo la aporia del marxismo già in Marx, ma pure le prospettive personalistiche sia di Maritain che di Mounier (vedi anche nota p. 101): ma ciò non significa l’abbandono dell’attenzione al sociale, anzi. Mi pare infatti che le serrate critiche all’ordine costituito e le sollecitazioni per un mutamento alla radice della nostra civiltà, si consolidino con un afflato mistico dove parole come sventura diventano terreno fertile. È così?
5. Quando scopre Platone, che per lei diventa maestro del fare «l’inventario del retto pensare «(cfr. p. 123), la Weil è spinta ad accusare gli scrittori di essere venuti meno al ruolo storico di «custodi del tesoro ormai perduto «(p. 124) e auspica con i suoi Cahiers di: «collocare il lettore sull’orlo del precipizio della condizione umana, in una posizione che gli consenta di «percepire simultaneamente molte chine, situate secondo i loro veri rapporti», di «sentire la gravità», di «distinguere l’unità e la diversità delle sue forme in quell’architettura dell’abisso» (p. 125). Queste affermazioni sono alla base del proposito della Weil di di scrivere un libro sulla lettura (p. 128 «un «piccolo libro» dedicato alla nozione di lettura») che diventa (p. 131) una «non lettura», per lasciare spazio alla attesa. Puoi spendere qualche parola sia sul proposito non realizzato sia sul gioco lettura/non lettura?
6. A p. 132 leggo questa frase potente, che tu citi, della Weil: «È così che in ogni istante della nostra vita siamo afferrati come dal di fuori dai significati che noi stessi leggiamo nelle apparenze». È una frase che ci collega con altre espressioni di derivaione platonica: oltre a «fare l’inventario della civiltà che ci schiaccia», possiamo essere ormai «prossimi a uscire dalle tenebre dell’uovo nella chiarezza della verità» (p. 133) per avere accesso alla «conoscenza reale nella condizione umana» (p. 135) che ha luogo con la mistica. Tu affermi che in questo modo la Weil riprende una tradizione spirituale «di cui da due secoli si era pressoché perso traccia quella dei mistici del Cinquecento del Seicento «: puoi portare qualche riferimento più preciso?
7. La fede per così dire oscilla e si alimenta tra certezza e desiderio (cfr p. 142); puoi articolarci un po’ questo insieme di termini tipici della Weil?
8. Usi il termine «mania» in riferimento alla esperienza mistica in un contesto comunitario (p. 180) e lo indichi come tratto originario a Eleusi (p. 175): che valenza riveste nella Weil?
9. Nel ricordare i tre ostacoli principali che secondo la Weil le impediscono l’accesso alla chiesa (cattolica) e cioè: «la concezione cristiana della storia, l’asserita superiorità di Israele e della stessa cristianità sui popoli pagani relativamente alla conoscenza di Dio, l’unicità della incarnazione del Verbo nel Cristo» (p. 199 e cfr. poi 202-203) tu consideri che oggi i fautori della Weil cristiana per battesimo del desiderio, possano accampare qualche opinione fondata?
10. «Se l’anima rivolta al bene vive la propria condizione come di esiliata nel mondo, a sua volta Dio si è esiliato dal mondo creandolo» è quanto affermi a p. 214 in perfetta fedeltà al pensiero della Weil, per cui «l’assenza di Dio dal mondo non è dunque estraneità, è al contrario il segno della distanza incolmabile, che egli ha posto tra necessità e il bene, cosicché egli è per un verso impotente riguardo al male che si consuma in ogni istante nel mondo. ma d’altra parte in tal modo la potenza non esercitata si trasforma per lui in passione «(pp. 218-219) Puoi indicarci con qualche possibile riferimento al presente questo processo definito con il termine de-creazione?

Spero in questo modo di aver segnalato in modo appropriato un saggio da leggere; saggio che non può lasciare indifferente il lettore e che gli rende possibile una attiva e concreta avventura dello spirito.