Recensioni / L’“orchestra” dei gesuiti

«Con un’orchestra i gesuiti avrebbero potuto convertire tutto il continente». La battuta del cardinale Luis Altamirano nel film Mission ben si presta a sintetizzare l’originale e prezioso contributo svolto, lungo la storia, dai missionari-musicisti nell’evangelizzazione dei popoli non cristiani, in America latina e non solo. Una pagina poco nota, ma assai interessante, dentro la grande epopea della missione, che ha registrato esperimenti artistici di assoluto valore, meritevoli di essere riscoperti.
Grazie a una lodevole iniziativa del Centro missionario del Pontificio Istituto missioni estere di Milano, domenica 5 maggio alle 17 è offerta al pubblico una preziosa occasione in tal senso. Presso il museo Popoli e culture, si terrà un concerto nel corso del quale verranno proposti brani musicali di missionari che tra il seicento e il settecento utilizzarono la musica nella loro opera evangelizzatrice. A esibirsi saranno musicisti dell’Ensemble Alraune, che utilizzeranno sia strumenti storici sia la prassi esecutiva dell’ep o ca. Tre i personaggi alla ribalta: il gesuita Domenico Zipoli, che lavorò nelle Reducciones gesuitiche del Paraguay, il confratello francese Jean Joseph-Marie Amiot, che fece conoscere la musica europea in Cina e padre Teodorico Pedrini, lazzarista, anch’egli attivo alla corte di Pechino.
Del gesuita pratese Zipoli (1688- 1726) si occupa pure l’ultimo numero de «La Civiltà Cattolica», in un articolo a firma di padre Giovanni Arledler. L’autore, che non esita a definire Zipoli «il più rinomato musicista tra i religiosi della Compagnia di Gesù», recensisce con favore una recente, approfondita monografia scritta da Sergio Militello, che insegna Teologia della musica all’Università Gregoriana di Roma. Tale volume si fregia di un’introduzione a firma di Papa Francesco, nella quale Bergoglio parla con calore di questo «giovane missionario che, attraverso il dono della musica, coltivata con passione ed entusiasmo, ha conquistato una meravigliosa opera di evangelizzazione, ancor oggi ricordata». L’avventura di Zipoli in America latina, in effetti, è durata meno di un decennio: a soli 37 anni di età, il 2 gennaio 1726, una malattia (forse la tubercolosi) ha stroncato il gesuita alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale. Prima di partire per il Paraguay, nel 1717, Zipoli aveva trascorso un periodo a Roma, durante il quale aveva lavorato come organista e come maestro di cappella in diverse tra le più importanti chiese e basiliche della capitale. Una ricca esperienza che egli poi metterà a frutto nella missione in Sud America. Come spiega «La Civiltà Cattolica», le opere di Zipoli (vespri, messe, inni) «denotano un linguaggio semplificato rispetto a quello della musica europea, ma che non perde di qualità ed efficacia; anzi, con la sua linearità e i suoi accorgimenti viene incontro alla spiritualità degli indios e favorisce la comunicazione di una teologia essenziale di cui diverse popolazioni di gran parte dell’America latina si sono appropriate nel corso dei secoli fino ai nostri giorni». Contemporaneo di Zipoli è il lazzarista marchigiano Teodorico Pedrini, che, primo missionario non gesuita alla corte cinese, giunge nel Regno di mezzo nel 1711, un secolo dopo la morte di Matteo Ricci. Nel 1702, poco più che trentenne, il lazzarista marchigiano aveva accolto l’invito di Clemente XI. La sua risposta («Son mandato a Cina e a Cina vado») è diventata il titolo di una recente e preziosa monografia, a firma di Gabriele Tarsetti e Fabio Galeffi, che contiene un centinaio di lettere del missionario. Pedrini e i suoi compagni di viaggio formavano la prima legazione papale inviata nel Celeste impero in un momento particolarmente caldo nel corso della “controversia dei riti”, durante la quale si scontrarono fra loro concezioni molto diverse relativamente all’evangelizzazione dei cinesi.
Padre Pedrini giunge alla corte di Pechino quasi 10 anni dopo la sua partenza, quando la legazione è ormai sciolta. Resterà in Cina per 35 anni fino alla morte, sotto tre imperatori, svolgendo un importante ruolo per la diffusione della fede cristiana e della cultura europea, specialmente attraverso la musica. Il lazzarista, infatti, oltre che autore delle uniche composizioni europee conservate negli archivi storici cinesi (le Dodici sonate per violino solo con il basso), si è distinto come costruttore di strumenti musicali, organi e clavicembali, e ha scritto un trattato di teoria musicale Dio è un poeta. Un dialogo inedito sulla politica e la società. Non solo: la sua passione di musicista gli permise di conquistarsi la benevolenza dell’imperatore Kangxi (dei cui figli diventò il precettore) e, di conseguenza, di esercitare la sua opera di missionario. A lui dobbiamo la fondazione della chiesa di Xitang, nel centro di Pechino.
Non meno interessante, infine, la figura di Jean Joseph Marie Amiot, gesuita francese, morto a Pechino nel 1793. Membro della Compagnia di Gesù a partire dal 1737, venne inviato in Cina nel 1750. In breve tempo entrò nelle grazie dell’imperatore Qianlong, che gli consentì di rimanere tutta la vita a Pechino, ricoprendo per lui l’incarico di traduttore ufficiale delle lingue occidentali. Amiot è una figura emblematica della straordinaria erudizione dei gesuiti: si interessò di kung fu ed è a lui che dobbiamo il termine “agopuntura”. La sua notorietà è legata anche alla sua produzione letteraria, che comprende un trattato in 15 volumi sulla storia, le scienze e le arti cinesi, pubblicato a Parigi negli anni 1776- 1791. Di recente è stata riscoperta anche la produzione musicale di Amiot: oltre a far conoscere alla corte di Pechino i compositori europei, egli stesso infatti, da buon missionario, si cimentò nella composizione di musica liturgica secondo lo stile cinese.