Visitate Ascoli Piceno se vi capita nel prossimo mese o, almeno, nel prossimo anno con l’obiettivo di gustare, fra l’altro, due bellissime mostre inaugurate quasi in contemporanea, il 16 e il 22 marzo 2019. Fino al 9 giugno resterà aperta un’esibizione selettiva tematica delle foto di Mario Dondero (Milano, 1928 - Petritoli, 2015) al primo piano della Galleria d’arte contemporanea “Osvaldo Licini”, grazie ad Andrea Valentini e Alessandro Zechini, circa 40 “Scatti d’Artista”. Fino al 3 maggio 2020 resterà aperta l’ampia notevole esposizione dei dipinti di Tullio Pericoli (Colli del Tronto, 1936) al primo piano di Palazzo dei Capitani in Piazza del Popolo, grazie a Maurizio Capponi, Carlo Bachetti Doria e Claudio Cerritelli, circa 165 “Forme del paesaggio (1970-2018)”.
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Pericoli è uno dei più grandi illustratori giornalistici viventi (non solo italiani). Di origini ascolane, ha operato soprattutto a Milano mantenendo sempre temporanee stanzialità e stabili legami marchigiani. Divenuto famoso come ritrattista e grafico di grandi quotidiani nazionali («Giorno», «Repubblica») con non occasionali comparse internazionali («New Yorker», «El Pais», «Guardian»), ha sempre continuato a dedicarsi soprattutto alla pittura, con una produzione di opere di alta qualità, vieppiù apprezzate in quanto tali e oggetto di grandi esposizioni (a Milano nel 1980 Rubare a Klee e poi nel 1991 a Palazzo Reale). I paesaggi sono la cifra che attraversa tutte le fasi del cinquantennio di vita pittorica, abbastanza continue seppur differenti l’una dall’altra, nella consapevolezza che pure illustrare corpi e persone fa parte di uno stesso unitario metodo di lettura grafica. I ritratti (o le caricature) possono essere cartografie politiche, ciò sempre ha fatto da giornalista culturale come spiegò pubblicamente: “Guardare un volto fino a pensarlo come se fosse un paesaggio, raccontandone gli smottamenti, le frane, i cedimenti, le anse, i solchi, i dossi e le rovine”. E, d’altra parte, le rappresentazioni della “natura” sono il volto secolare di una terra, le cure estetiche e le bellezze geometriche, le fatiche e le incurie, reciprocamente vi apparteniamo e ci appartengono. La mostra di Ascoli prende spunto dai recenti terremoti del 2016 in quell’area a cavallo fra Lazio Marche Umbria (dipinti del 2017-2018) e va progressivamente cronologicamente indietro sino all’iniziale (significativo) Focolaio sismico del 1971, ogni sala o gruppo di sale circa un decennio precedente l’altro, sempre opere che “rappresentano” il contesto ambientale distante da grandi agglomerati metropolitani, oli su tela, acquerelli, chine e matite su carta, immagini stratificate, sezioni materiche. Dal presente, le attuali scosse frammentazioni visionarie, a ritroso nel tempo si risale alle originarie esplorazioni geologiche, cosa c’è o può esserci sotto un albero da frutto, un flash su paesaggi mondi.
I due artisti visivi Dondero e Pericoli hanno inesplorati punti di contatto, entrambi appassionati dal senso estetico del lavoro umano, capaci di accarezzare o scavare con le immagini, entrambi culturalmente e civilmente impegnati, in diverso modo sia intrisi di milanesità sia legati per lunghi periodi delle biografie al piceno, segnati ventenni dal fermento culturale ed editoriale milanese e da influssi marchigiani (inevitabilmente, da Leopardi, Licini e, per altri versi, Mario Giacomelli). La coincidenza delle mostre è tuttavia pura casualità, da godere con spirito critico e linee d’orizzonte. Dondero fu un girovago cittadino del mondo, radicale militante sociale. Pericoli ha sempre alternato ritmi da metropoli meneghina e campagna marchigiana. Dondero nacque e visse a Milano, con frequenti soggiorni a Genova, fino al 1953, e vi tornò poi saltuariamente (pur se manca una grande esposizione milanese dei suoi scatti), usava la macchina fotografica per compagnia d’arte, in bianco e nero, intrecciando legami. Pericoli vive e lavora a Milano da tempo immemorabile, tornando spesso nella natia regione plurale, usa il segno grafico per compagnia d’arte, coi colori, mescolando ecosistemi, montagne appenniniche con onde adriatiche, fattori biotici e fattori abiotici. E, pure, il grande artista Dondero fotografò il grande artista Pericoli, l’immagine fa parte di una precedente mostra sui suoi scatti marchigiani (a pagina 50 del catalogo) e della mostra ora in corso al Palazzo Comunale di Petritoli (fino al primo maggio). E, pure, Pericoli è uno dei non molti pittori che usa il nero (e il bianco) per imprimere le memorie visive.
Mario considerava la fotografia «un corso accelerato di amicizia»: ho conosciuto centinaia di donne e uomini che lo considerano persona di casa, qualcuno entrato nella propria vita intima, a cui si dà del tu semplicemente come collega di umanità, lui curioso di ognuno di noi meticci, a qualsiasi latitudine e longitudine ci si venga a trovare. Fra il suo dire e il suo fare c’era poca distanza, isomorficamente. Ha lasciato una massa sterminata di fotogrammi a tanti da tante parti, è opera preziosa d’incommensurabile valore quanto stanno facendo gli esperti volontari della Fototeca Provinciale di Altidona (Fermo) per catalogare decine di migliaia di scatti, consentendo ogni tanto raccolte mirate, come per i settecento messi a disposizione dei bravissimi associati ad Arte Contemporanea Picena per la mostra di Ascoli (e prima per altre esposizioni a tema, come quella sull’Africa a Fermo). Ci vorranno anni ma sarà davvero uno straordinario archivio della storia degli uomini e delle donne sul pianeta del Novecento.
Pericoli è immerso nella vita professionale e professionistica lombarda pur mantenendo radici profonde fra i campi mezzadrili dei contadini marchigiani; spesso il suo pensier si finge mirando e rimirando, schizzando e colorando gli Appennini e l’Adriatico dalla casa-studio delle colline di Rosora (colpiscono gli autoritratti) o dagli archivi figuranti della sua memoria (pure aerea). Le sue mappe artistiche sono biografie anatomiche ed ecologiche, i visi in operosi non-luoghi e i paesaggi vitali dei contesti mappati con l’aratro dall’uomo. La pittura può essere meno precisa dell’illustrazione: segni, lettere, numeri, cabale, citazioni, figure, crepe rimandano prima a emozioni visive che a informazioni giornalistiche, ai dialetti prima che ai vocabolari. Pericoli cita oggi, con mite permanente impegno civile, i piccoli gesti artistici di Greta Thunberg. A conferma, può essere utile leggere i bei saggi del catalogo Quodlibet, di Silvia Ballestra (che nel 2011 dedicò un testo biografico a Pericoli), Salvatore Settis e Claudio Cerritelli (curatore della mostra di Ascoli).
Ascoli Piceno vale una visita tempestiva in tempi rapidi non solo per le due esposizioni collegate a Dondero e Pericoli (chiuse il lunedì), già molto e giustamente celebrata la seconda sugli organi di informazione. Siamo nel campo delle piccole città, meno di cinquanta mila abitanti, nome antichissimo di lontane origini greche e poi romane, uno dei più bei ed estesi centri storici dell’Italia centrale (forse “il più”, secondo un caro famoso maestro), medievali torri e travertino fino alla magnifica piazza centrale, tradizioni culinarie di rinomati cibi e bevande. Se conoscete già Dondero e Pericoli avrete occasione per approfondire in mezzo a tante altre cose da fare e vedere. Se ancora non li conoscete bene, sarete stimolati a conoscerli più e anche altrove, leggerli meglio. Inoltre sono previste attività collaterali, anche formative: il 15 maggio, a esempio, sarà proiettato al Cinema Odeon il documentario del 2015, Calma e gesso - in viaggio con Mario Dondero del regista e antropologo Marco Cruciani che, per cinque anni spesso a fianco del fotografo, tenta di ricostruirne la storia avventurosa e leggendaria transitando fra le principali vicende sociali, politiche, culturali e artistiche del secondo Novecento. Eppoi entrambe le locationmeritano autonoma specifica attenzione: alla Galleria Licini ci sono anche una pinacoteca e la biblioteca, un delizioso chiostro pieno di ragazzi vivaci, lì accanto il museo della ceramica con una straordinaria esposizione sulla maiolica dal XV° secolo a oggi; il Palazzo dei Capitani del Popolo fu costruito fra il XIII° e il XIV° secolo unendo tre piccoli edifici separati da due rue, di cui uno provvisto di torre poi riutilizzata, ha ancora magnifici portale centrale, scalinata, cortile a tre ordini di logge e scalone cinquecenteschi.