Recensioni / Tremori del '900

Nella riflessione saggistica sulla contemporaneità, appaiono significativi alcuni testi recentemente editi nella collana «Quodlibet» di Macerata. Sono segnali anche affascinanti di un pensiero che può segnare in qualche misura l'orizzonte, o una possibile interrogazione da parte delle presenze poetiche e artistiche in atto. Sono testi che valgono per uno stimolo, un'intuizione, una presa di coscienza sui fatti espressivi. Si inverano nel movimento stesso della scrittura, irriducibile a categorie meramente storiografiche: c'è il dato di illuminazione, lo scatto emotivo, quella disposizione etica ed estetica dove le cose sono sorprese in uno strato profondo, invisibile rispetto ai paradigmi di cultura, di concetto, di linguaggio. Gli autori sono nati agli inizi degli anni Quaranta: biograficamente, anche psicologicamente, sono nel vivo dei processi, dei cambiamenti dell'oggi; e nello stesso tempo sembrano essersi ancora formati in una cultura della totalità.
L'essere abbandonato è il titolo del libro di Jean-Luc Nancy. È davvero suggestivo questo tema dell'abbandono: come tempo, cifra, figura dell'oggi. Il tempo dell'abbandono è una condizione irrelativa ai progetti, alle attese, alle domande. È il «tempo del tempo»; uno spazio non designato, né qui, né là, né altrove. Un tempo senza ritorno e senza ricorso che sembra aver vanificato, o consumato, le dialettiche del processo espressivo (essenza ed esistenza, tempo ed eterno, luce e ombra, parola e silenzio).
Nella figura dell'abbandono sono percepiti i tratti salienti della contemporaneità lo svanire della storia, la quale non riesce più a superarsi, a considerare la finalità che le è propria; si estenua e implode nell'attualità, nell'insignificanza del linguaggio, dove le variazioni sono minime e continue. Tutto ciò lo viviamo anche soggettivamente nella perdita dei nostri ricordi, dei volti, dei nomi, delle forme conosciute.
La tonalità dell'abbandono è il tremore: è il tremore dell'anima, la vibrazione, il ritmo, il battito del sentire; e soprattutto la coscienza della finitezza che si rapporta con «il compimento infinito» dell'alterità.
Il pensiero (come leggiamo nelle pagine finali) si abbandona alla propria apertura. Rinunciando alle false idealizzazioni, alle versioni concettuali, agli stilemi, ci riaccostiamo alle cose, alla loro radice di inesauribilità e di mito Nella figura estrema dell'abbandono, e insita la potenzialità dell'amore.
Di Furio Jesi viene edita una Lettura del Bateau ivre di Rimbaud. Furio Jesi è stato una personalità di viva originalità, precocemente mancato a Genova nel 1980. Il suo libro forse più noto è Letteratura e mito (uscito da Einaudi nel 1968). Le pagine di questa Lettura sono dense, "vertiginose": nella metafora del Bateau ivre si proietta, come a una frontiera, l’intima e irrisolta biografia intellettuale di questo studioso.
La fine del poema è il testo di Giorgio Agamben. La fine del poema è definita nella sua figura retorica, ma implicitamente nella tensione di dismisura: «Che cos'è questa caduta del poema nel silenzio? Che cos'è una bellezza che cade? E che resta del poema dopo la sua rovina?».

Jean-Luc Nancy, «L'essere abbandonato», traduzione di Elettra Stimilli, edizioni Quodlibet, Macerata 1995, pagg. 90, L. 18.000.
Furio Jesi, «Lettura del Bateau ivre di Rimbaud», introduzione di Giorgio Agamben, edizioni Quodlibet, Macerata 1995, pagg. 42, L. 12.000.
Giorgio Agamben, «La fine del poema», edizioni Quodlibet, Macerata 1995 (plaquette in esemplari numerati e fuori commercio).