Secondo Walter Benjamin, psicoanalisi e fotografia - con il loro
carico di segreti e rimozioni - si situano
all'origine della modernità, entrambe capaci di evocare fantasmi, della psiche o del passato,
proprio mentre il rifiuto del soprannaturale sembrava farsi
più accentuato. Attorno al mistero della fotografia, alla sua
parentela con la morte e alla
sua tensione verso un altrove
non raggiunto dalla trascendenza ruota l'indagine che Ferdinando Amigoni in L'ombra
della scrittura. Racconti fotografici e visionari (Quodlibet, pp.
260, € 24,00) compie a partire
da alcune opere letterarie del
Novecento.
Autorizzato da una celebre
pagina di Freud a «reperire
analogie essenziali tra il funzionamento dell'apparato psichico e il processo di produzione, nonché l'essenza stessa, di
un'immagine fotografica»,
Amigoni esamina lavori di Alvaro, Nabokov, Perec e Celati
per rendere ragione del passaggio dalla Galassia Guntenberg al pictorial turn, ovvero a
una cultura dominata dalle immagini; e lo fa appoggiandosi
tanto a studi psicoanalitici quanto alla teoria fotografica (soprattutto all'onnipresente
Roland Barthes). Ritrova e analizza segni della «scrittura di
luce» non solo negli intrecci
degli autori analizzati, ma anche e soprattutto nel loro linguaggio, regalandoci una eccezionale decostruzione di nomi ed espressioni, alla ricerca
di significati reconditi che si
reggono, per esempio, sulla
presenza di sintagmi omofoni
o sulla scomposizione di neologismi e termini inconsueti,
e tradendo con ciò una profonda attrazione per l'universo
oulipiano. Non a caso, la sezione più affascinante di questo
notevole volume è dedicata a
Georges Perec (di cui Amigoni
aveva tradotto La bottega oscura), che occupa due capitoli,
uno relativo a W o il ricordo d'infanzia, opera in cui il rimando
fotografico è evidente, l'altro
a La vita istruzioni per l'uso, un romanzo che, come Amigoni
non manca di sottolineare,
sembrerebbe piuttosto appartenere alla poetica del falso, tema tipico della pittura.
a tipico della pittura.
In entrambi i casi, l'autore
riesce a dimostrare la presenza dell'elemento «fotografico»
come traccia dell'inafferrabilità del reale, scombinando le
carte tramite vertiginose - e
seducenti - acrobazie interpretative. Il «ricordo d'infanzia» di Perec trova perfetta
corrispondenza in un ricordo
remoto del Leonardo analizzato da Freud, mentre una foto di Perec bambino con zia
Esther e una contadina sullo
sfondo viene ricondotto a
Sant'Anna, la Vergine e il bambino
di Leonardo. E, ancora, l'album degli Interieursparisiens di
Atget è sfogliato come un'illustrazione perfetta delle stanze prive di abitanti di Rue Simon-Crubellier descritte in
La vita istruzioni per l'uso.
Proprio sottoponendo a un
minuzioso confronto le descrizioni di Perec e le foto di
Atget, Amigoni arriva a toccare il nodo centrale della sua
analisi, il punto di sutura tra
linguaggio e reale. Se la parola minaccia di girare a vuoto
di fronte a una realtà che non
si lascia catturare, a soccorrerla arriva la fotografia intesa
come traccia, «segno indiziale che conserva con il suo referente (con il reale) un rapporto addirittura fisico».