Fare storia è costruire identità.
Affacciandoci sul passato, mettendo a fuoco il nostro sguardo,
veniamo in chiaro del nostro Io.
Sappiamo chi siamo fissando
gli oggetti della nostra attenzione, determinando che cosa siano. Un
mero reperto materiale non è ancora
storia, come ci ricorda uno dei massimi
studiosi italiani di estetica, Paolo D'Angelo, in Attraverso la storia dell'estetica.
Dal Settecento al Romanticismo, pubblicato da Quodlibet.
È la prima tappa di un'opera molto
ampia, di un lungo cammino nella storia
dell'estetica, che proseguirà con un secondo volume, Da Kant a Hegel, e con un
terzo dal titolo Dall'Ottocento a oggi. Focalizzare il passato significa stabilire il
sistema di appartenenze nel quale ci ritroviamo. Fare storia significa non soltanto orientarsi ma anche orientare
questo tempo, tentare di imprimergli la
direzione opportuna.
D'Angelo muove, in questo libro, da
tre fuochi centrali, da tre zone «sensibili»: il tema del gusto e della sua nascita,
quello del «non so che», per venire al
romanticismo. Sono questi i campi lunghi che ci fanno attraversare tanti momenti dell'estetica da intendersi nel
modo più vario, come disciplina che regola lo scambio sociale nel caso del gusto, per inoltrarsi infine nel grande cespite dell'eredità romantica che si rivolge a noi come il «nostro» passato.
Fare storia significa infine capire cosa
è pertinente per il presente, e cosa dunque vada ricordato. In breve la memoria
è un compito culturale innervato di venature etiche. E lo è anche l'oblio, operazione necessaria - come già ricordava Nietzsche - per fare spazio al nuovo. Il libro di
D'Angelo si conclude con il romanzo del
romanticismo tedesco, e con la sua genealogia. Per scoprire che qui stanno le nostre radici, quelle del romanzo sperimentale e di avanguardia, di un'opera che non
narra semplicemente ma riflette sulla
propria struttura mentre la realizza.