Recensioni / Le case popolari non vanno abbattute, ma ripensate

Sarebbe un errore di sottovalutazione rubricare quanto accaduto a Roma – la protesta degli abitanti dei quartieri di Torre Maura contro il trasferimento di 70 rom in un vicino centro di accoglienza; la rivolta degli abitanti di Casal Bruciato per l’assegnazione di un alloggio popolare ad una famiglia rom – come il tentato pogrom di un manipolo di razzisti capitanati da un gruppo di estremisti e nient’altro. Quegli episodi raccontano, invece, al di là delle strumentalizzazioni politiche, il tormentato territorio delle periferie italiane: sovraccariche e sofferenti, tra le attese esasperate di un alloggio popolare e lo stato di degrado e abbandono culturale, sociale e politico che non ha eguali in Europa.
Con colpevole miopia l’attuale governo, approvando l’emendamento 13.2 al ddl n. 717 al decreto “Milleproroghe”, ha di fatto bloccato 3,8 miliardi di euro attivati dal “Piano periferie” fino al 2020 per 96 tra città e aree metropolitane, dimostrando in questo modo di non aver capito l’importanza strategica di questi interventi strutturali. Nel contratto di governo non c’è neppure un paragrafo dedicato al tema delle periferie; e le politiche di rigenerazione urbana in Italia seguitano a essere gravate da eccessi procedurali e risultano prive di una visione strategica per l’intero organismo urbano, come denuncia il Consiglio nazionale degli architetti Ppc. Ci aveva provato Renzo Piano a far capire quanto fossero urgenti gli interventi sulle periferie italiane, quando nel 2013, appena nominato senatore a vita, ne teorizzò “il rammendo” fondando il gruppo di lavoro G124, di cui ben presto si è perso il filo: le periferie non sono nell’agenda politica italiana.
In Italia quando si parla di eventuali interventi sulle periferie, questi si fermano al dibattito semplificato a uso e consumo delle parti politiche, stretto tra due fronti contrapposti: pro o contro la demolizione di interi quartieri di edilizia residenziale pubblica, considerati come tessuti infetti e incurabili, per i quali non c’è altro rimedio che l’estirpazione: la soluzione sarebbe raderli al suolo (l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno propose “come laboratorio di esperienza” (sic!) la demolizione del quartiere Tor Bella Monaca, progettato da Pietro Barucci; pochi giorni fa sono arrivate le ruspe a Scampia per demolire le vele progettate da Franz Di Salvo).
In Europa questi temi sono affrontati in modo più articolato e complesso, con una pluralità di soluzioni. Ce lo ricordano gli architetti Spartaco Paris e Roberto Bianchi, autori di un libro necessario: Ri-abitare il moderno. Il progetto per il rinnovo dell’housing, ed. Quodlibet Studio. Il volume, oltre a riepilogare lo stato delle periferie italiane e dell’edilizia residenziale pubblica e convenzionata prodotta nella seconda metà del Novecento – che coincide per lo più con la moderna periferia delle città e che versa in una condizione di rovina e degrado – passa in rassegna le sperimentazioni, i metodi e le strategie progettuali adottate in quei paesi europei (Francia, Germania, Paesi del Nord Europa) che hanno una lunga tradizione di programmazione e gestione dell’edilizia sociale; e che hanno realizzato interventi di “rinnovazione” su edifici residenziali costruiti tra gli anni Sessanta e Settanta.
E’ di poche settimane fa la notizia che il premio European Union Prize for Contemporary Architecture – Mies van der Rohe Award 2019 è stato assegnato agli architetti Lacaton & Vassal architectes, Frédéric Druot Architecture e Christophe Hutin Architectur per la riqualificazione e trasformazione di tre edifici in linea, che accolgono 530 alloggi popolari, progettati da Jean Royer e realizzati nei primi anni 60 nel quartiere Grand Parc di Bordeaux. L’aggiunta e l’innesto di nuovi volumi, anziché la demolizione dell’esistente, e l’adozione di materiali a basso costo e sistemi industrializzati low tech di rapido assemblaggio hanno consentito la permanenza degli abitanti negli edifici per l’intera durata dei lavori. In Germania, ogni anno l’80% delle risorse economiche nel settore edilizio vengono destinate alla riqualificazione del costruito esistente; dati simili riguardano altri paesi dell’Europa.
Se si vogliono scongiurare episodi futuri come quelli di Casal Bruciato, la politica deve urgentemente mettere in agenda il tema della casa collettiva moderna, che, come affermano Paris e Bianchi, è una delle risorse edilizie da cui ripartire per prenderci cura delle nostre città: è un atto necessario e di responsabilità per rinnovare il patrimonio costruito, e restituire dignità ai cittadini italiani.