Recensioni / Recensioni: Poesia

Salutiamo con gioia le prime tre uscite della nuova collana Ardilut (nome friulano della valeriana selvatica, scelta da un giovane Pasolini a simbolo delle sue pubblicazioni in dialetto), dedicata da Quodlibet alla poesia in dialetto, appunto, sotto la direzione di Giorgio Agamben. Come da introduzione del curatore, l'idea è quella di riflettere, agli albori del XXI secolo, sul fondamentale e secolare bilinguismo degli italiani (nel particolare letterati, come già elucubrava Dante nel De vulgari eloquentia), per cui l'idioma nazionale è stato da sempre "lingua due", necessariamente artefatta e/ o letteraria, a fronte di una maternità linguistica, nonché una quotidianità, sorgivamente dialettale, in una delle miriadi di forme riconducibili alle molteplici isoglosse della penisola. Nel corso del Novecento si è assistito a un consapevole recupero del "dialetto" (sul cui statuto molto ancora si discute) nella poesia colta (Si pensi a Tessa, e poi Pedretti, Baldini, Loi, Cecchinel et alii) che ha avuto in Pasolini e Zanzotto due capisaldi originali. Proprio ai due mostri sacri sono dedicati i primi volumi della collana. In nessuna lingua in nessun luogo, sotto l'ala di Stefano Dal Bianco, raccoglie l'integrale della produzione in trevigiano del poeta di Pieve di Soligo, estrapolando i testi dai contesti originari e costruendo un vero e proprio "canzoniere" parallelo all'opera italiana. Il testo di Pasolini è invece uno script teatrale in friulano, risalente al periodo più drammatico della giovinezza del poeta a Casarsa, ovvero l'occupazione nazista nel 1944 e i relativi bombardamenti alleati. Un Pasolini "laterale" che presenta non pochi motivi d'interesse, e non solo linguistico, contraltare storico / lirico al corpus raccolto ne L'usignolo della chiesa cattolica. Dedicato - benvenga -a un vivente è invece il volume misto italiano/veneziano di Francesco Giusti, nato negli anni '50 e di solito non citato nel canone semplificato della poesia novecentesca, ma, nonostante la sua apparente "difficoltà", capace di densità ritmiche e semantiche notevoli, specie sul versante dialettale. Sottolineando, oltre alla felice scelta dei testi, la cura della sobria grafica e degli apparati, auspichiamo che la collana prosegua le sue esplorazioni in aree più vicine al contemporaneo, una "zona del crepuscolo" in cui i ruoli linguistici quasi si specchiano, con poeti realmente madrelingua italiani (forse, i primi) che si riappropriano del dialetto come lingua esplicitamente poetica, con la fatica di re-impararla per scritto, specie nei contesti che - dagli anni del boom - hanno accantonato le parlate locali in nome di un progresso che sembrava infinito, finito invece in dichiarata stagnazione, anche lessicale

Recensioni correlate