Recensioni / Recensioni: Prose e poesie scelte

Più o meno negli stessi anni e negli stessi luoghi in cui Friedrich Hèlderlin invocava, tramite i suoi versi, il ritorno degli dei, Johann Peter Hebel era invece convinto che Dio non avesse mai abbandonato la terra. Tutto, nelle sue parole, testimoniava di un'armonia che nulla avrebbe potuto sfigurare. Il Tesoretto dell'Amico di casa renano, di cui Quodlibet meritoriamente ristampa e aggiorna l'edizione ormai introvabile curata per Guanda da Alberto Guareschi una trentina di anni fa, raccoglie larga parte degli scritti che Hebel, pastore protestante nato nella Svizzera tedesca, venne pubblicando fra il 1807 e il 1811 su un almanacco all'epoca molto popolare (appunto «L'Amico di casa renano»): ed è un florilegio di prose e di poche, scelte "canzoni", che nel corso degli anni accenderà l'entusiasmo, se non la venerazione, di lettori eccellenti come Goethe, Kafka, Walser, Benjamin, Heidegger, Canetti e Sebald (il quale ultimo dedicherà al libro il saggio d'apertura di Soggiorno in una casa di campagna). Ne avranno, d'altra parte, ben donde. La prosa di Hebel è incantevole: che inventi raccontini edificanti o ammannisca minime moralità quotidiane, si pone comunque sotto il segno di una grazia e di un candore in cui anche la didascalia conquista una levità d'arabesco, e solo rarissimamente finisce per suonare un po' scontata. Come nell'aula di una scuola elementare di campagna, ci si muove rassicuranti e bonari fra diversi settori dello scibile: l'aritmetica, la geografia, la meteorologia, l'astronomia, gli animali, la botanica; lo sguardo di Hebel riesce a spaziare con la serenità più imperturbabile fra le distanze siderali del cosmo e il mondo microscopico, traendo da ogni cosa un qualche prezioso insegnamento. Serenità imperturbabile? Sebald non sarebbe d'accordo. Nel suo devotissimo saggio, si è infatti provato a "decostruire l'idea vulgata, ponendo l'accento su tutti gli aspetti da cui cavare il ritratto di uno Hebel, a immagine e somiglianza del ritrattista, cantore della distruzione e dell'irnpermanenza. E, certo, nel Tesoretto non mancano spunti in talsenso: «L'uomo, se vuole, ha quotidianamente l'occasione di porsi a riflettere sull'instabilità di tutte le cose terrene...», e poi, descrizioni di tragedie come quella della città di Leiden, dove una nave carica di polvere da sparo prese fuoco facendo crollare centinaia di case e provocando migliaia di vittime. Ma l'anima di Hebel, ultimo erede di Esiodo e Virgilio, finisce per far propria quella suprema armonia che si presume governare un mondo ancora essenzialmente agricolo, ove ogni lacerazione pare destinata a ricomporsi, e ogni morte a essere ciclicamente seguita dallo splendore della rinascita. Questo Sebald sembra non vederlo. Così come Hebel non vedeva, forse non poteva, forse non voleva vedere, che quel mondo - quell'armonia - stava cominciando a inabissarsi per sempre