La prima volta che ho sentito parlare e letto della resistenza norvegese al nazismo è stato nel romanzo breve di Steinbeck La luna è tramontata. Allora non sapevo che
si chiamasse isfront, fronte di ghiaccio,
la sistematica resistenza passiva che la
popolazione aveva opposto agli invasori. Gli anni di oppressione nazista sulla
Norvegia, sotto il governo del collaborazionista Quisling, furono segnati dal
rifiuto netto della quasi totalità degli
abitanti di città e campagna alla barbarie tedesca, una opposizione fatta di silenziosa ostilità, a marcare quell'isolamento psicologico e fisico, quel muro
morale dentro cui assediare gli occupanti, che costituisceiltema del bellissimo racconto di Steinbeck.
A tale presa di posizione (pur senza
dimenticare la presenza di norvegesi filonazisti, per non citare il caso clamoroso di Hamsun) si aggiunse l'intensificarsi di una rete di informazione e
stampa clandestina per contrastare la
censura imposta dai nazisti con il sequestro delle radio e la soppressione di
qualsiasi voce men che trionfalistica
sull'andamento della guerra. L'isfront è
costato la vita e la libertà a molti, protagonisti e comparse, della vicenda che ha
toccatola Norvegia dall'aprile 194o all'8
maggio 1945. Tra questi Petter Moen,
matematico e redattore del giornale
clandestino «London-Nytt», catturato
nel febbraio del '44 e rinchiuso a Mollergata, sede della Gestapo a Oslo e prigione tragicamente famosa, in cui si scrisse
una delle tante pagine di brutalità di
questa fase della storia del mondo.
Moen fu uno dei protagonisti ditale
pagina, di cui ci ha lasciato un documento, il diario scritto clandestinamente e conservato nel condotto dell'aria della sua cella, perché tra le forme
di repressione e mal vessazione cui il
prigioniero era sottoposto, c'era anche
il divieto di leggere e scrivere, una tortura psicologica che doveva condurre all'annullamento mentale, oltre che fisico
dell'individuo.
Moen scrisse lo stesso, graffiando
fogli di carta igienica con una punta di
metallo, annotando quotidianamente
gli stati d'animo nel tempo dell'isolamento conlapaura fisica degliinterrogatori, lo sgomento per essere un nulla
nelle mani di una violenza cieca, la ricerca di una risposta interiore, di una
forza d'animo difficile da trovare,
quando anima e corpo si sentono contaminati dal male.
C'è tutta una letteratura legata a
questa condizione, e nel saggio di Maurizio Guerri che chiude il diario di Moen
le ragioni e la forma di tali testivengono
ripercorse e interpretate come momenti alti della letteratura del '900,
quando l'esperienza dello scrivere di sé
ha elevato la condizione dellavittima a
quella di testimone, di narratore.
Difficile dire se tanto sia bastato a dare un senso alla sofferenza e, leggendo
le pagine del diario di Moen, l'oppressione che ne ha accompagnato il tempo
della prigionia ricade sul lettore con tutto lo sconforto e lo smarrimento che il
prigioniero ha sperimentato nell'isolamento, per farsi appena più lieve, verrebbe da dire quasi ironico, nella successiva condivisione con altri prigionieri.
Una storia, quella di Moen, con la tragica
fine del naufragio durante il trasferimento in Germania, da percorrere con
una riflessione su cosa significhi eroe ,
una parola che la nostra società oggi usa
con esasperante superficialità, ed è invece, qui visibilmente, nel segno del silenzio e della coscienza, quando non ha
confronto che con se stessa.