La perdita del senso di comunità
e dell'esperienza del
quotidiano rappresentano la
vera sconfitta del terremoto e
l'arte - in particolare il linguggio
intimo e muto della fotografia
- diviene uno strumento
potente per descriverla. Le
Terre in Movimento, rappresentate
nella mostra al Maxxi di
Roma (fino al 1 settembre, a
cura di Pippo Ciorra e Carlo
Birrozzi, in collaborazione
con Cristiana Colli) sono quelle
marchigiane, colpite dal sisma
del 2016 e ancora oggi
coinvolte nel processo di ricostruzione.
Gli artisti sono Olivo Barbieri,
Paola de Pietri e Petra Noordkamp,
tre noti autori della fotografia
contemporanea, che
hanno tradotto in immagini il
loro sguardo su queste realtà.
La collettiva è l'esito di una
committenza artistica, promossa
dalla Soprintendenza
archeologica belle arti e paesaggio
delle Marche, in collaborazione
con Fondazione Maxxi
e Associazione Demanio
Marittimo Km-278, che ha
chiamato i tre fotografi a
esprimersi su quanto restava
del patrimonio e del paesaggio
marchigiano. Un'operazione
di committenza che risulta
estremamente lucida nell'esplorare
la ricostruzione
dell'immateriale, dell'intangibile,
e in questo modo aggiorna
l'agenda canonica degli
strumenti e delle parole che
ruotano attorno alla questione
del post-sisma.
La ricerca, autoriale e allo
stesso tempo collettiva, scorge
la vera ferita del sisma non solo
nei crolli o nelle case scoperchiate,
ma nei frammenti di
una quotidianità ormai perduta,
in quegli indizi scovati tra
le macerie, che rimandano ad
abitudini, a parole, a gesti cancellati
per sempre. Dallo scrigno
riflettente custodito nella
Chiesa di San Gregorio Illuminatore
di Ancona (che ha già
ospitato la mostra) le opere dei
tre fotografi sono migrate nelle
sale del museo di Zaha Hadid,
prosecuzione di un percorso
che partendo dalle terre colpite
è arrivato nel circuito internazionale
del Maxxi, dove
parte delle opere entreranno a
far parte della collezione permanente.
Sguardi, tecniche e
registri emotivi differenti
emergono dai lavori dei tre fotografi,
valorizzati dall'allestimento
di Emanuele Marcotullio
che si snoda in un percorso
libero, a tratti labirintico, tra
piccole stanze bianche e luminose,
ciascuna dedicata alle
singole ricerche fotografiche.
Parallelo alla rassegna, per
spessore e intensità, l'omonimo
catalogo, edito dalla Quodlibet
e curato da Pippo Ciorra e
Carlo Birrozzi; la forza delle
immagini, su stampa, viene affiancata
da alcuni testi che, oltre
a documentare la ricerca,
mettono in luce alcuni aspetti
interessanti, come quello del
filosofo Stefano Catucci che indaga
le dinamiche tra gli aspetti
emotivi legati alla recezione
dei disastri, e le potenzialità
dell'arte: «è la bellezza a far
parlare la perdita, restituendo
voce alle rovine e ai frantumi,
ed è il lavoro autoriale di artisti
come questi a restituire il
senso di una familiarità perduta
con i luoghi».