«Un gruppo in crescita tanto veloce,
e che giornalmente praticava nuove e
strane villainies, non poteva non dotarsi
di una parlata che fosse compresa
unicamente dal gruppo stesso. Tale fu
lo scopo per cui fu inventata questa lingua,
che taluni chiamano "francese del
venditore ambulante"».
Daniel Heller-Roazen insegna
Letteratura comparata nell'Università
di Princeton. I1 sito della editrice maceratese
Quodlibet (che fa, in italiano,
«quello che piace») ci dice che ha già
pubblicato tra l'altro, in traduzione,
un saggio sull'oblio delle lingue e uno
su I1 tatto interno. Archeologia di una
sensazione dedicato alla percezione di
sé nella storia del pensiero occidentale.
Ora, diciamo subito che leggendo questo
suo ultimo Lingue oscure. L’arte dei
furfanti e dei poeti viene un forte desiderio
di dedicarsi a studi di letteratura
comparata e una subitanea invidia per
chi, come lui, lo può fare con il profitto
e il divertimento che da questo libro in
più punti saltano fuori.
In linguistica il gergo si colloca più
o meno dove stanno di casa registri e
sottocodici, a metà strada tra due assi di
variazione che i sociolinguisti chiamano
diafasici e diastratici. In senso tradizionale, un tipo di lingua per essere un
gergo deve avere due caratteristiche: il
carattere criptico che trasmette significati
linguistici opachi e sconosciuti per
il resto della comunità e la condivisione
presso i suoi parlanti di un comune sentimento
di appartenenza; vale a dire:
«parliamo così, gli altri non ci capiscono
e formiamo un gruppo compatto
con interessi comuni».
A queste caratteristiche, più passi
del magnifico libro di Heller-Roazen ne
aggiungono una terza: il gergo serve, di
regola, per fare qualcosa di male, il più
delle volte per delinquere. Pensiamo
all'inglese cant: «il cant fa un passo in
più rispetto al jargon. Il suo scopo principale
è ingannare, truffare e occultare.
È la lingua usata dai mendicanti e dai
criminali per nascondere le loro attività
disoneste ed illegali». L'occasione è
quella di passare in rassegna tutta una
serie di marginalità: dagli spunti che
vengono da una serie di faldoni legali
quattrocenteschi con le attività di una
banda di furfanti e le chiavi del gergo
corrente al suo interno; a un Liber vagatorum
(«Libro dei vagabondi») cinquecentesco
uscito con prefazione severa
di Martin Lutero; ai nomi con cui gli
dei dell'antica Grecia chiamavano le
cose terrene; ai gerghi del francese, con
nomi che sono tutto un programma: il
verlan, il javanais, la lingua delle prostitute
francesi dell'Ottocento, quello
dei macellai parigini.
Ma, nell'immaginifico settore di
studi delle letterature comparate (l'invidia
nei confronti dell'autore prende
forma più concreta, avanzando con la
lettura), il gergo aumenta la sua portata
e viene arditamente paragonato alla
poesia (non è forse la poesia una sorta
di codice nascosto dei poeti?) e alla letteratura
in generale; tanto che l'interrogarsi
sui gerghi diventa piano piano,
in questo libro, un'indagine sul senso
dei canoni letterari. C'è per esempio
un capitolo, il quarto, dove si trattano i
misteri dell'opera dei trovatori medievali.
«Le opere vernacolari del Medioevo,
a dispetto della loro relativamente
giovane età, sono più oscure di quelle
prodotte dal mondo antico», tanto da
rientrare a pieno titolo nell'ampia descrizione
dei codici nascosti. Del poco
certo attorno a questi poeti di respiro
europeo precoce c'è il porre al centro
della loro opera la donna amata; il cui
nome è però spesso dissimulato, ricorrendo
addirittura a forme maschili
(«Mon Esteve» «Stefano mio», «Mon
Bel Vezi» «Mio Buon Vicino», «Fin
Joy» «Pura Gioia», «Bel Esgar» «Bello
Sguardo»). Su tutti risplende, nelle ultime
righe di questa sezione, il nome
di Na Castelloza, donna trovatore (trovatrice?
Trovatora? Si diventa matti, in
questo periodo!) del XII secolo. Unica
donna a fare uso di un segnale, «ella
chiamò il suo amato, con luminosa
oscurità, Bels Noms "Bel Nome"».