Recensioni / Almanacchi, lunari, racconti

In C’è una cometa in cielo. Nota d’almanacco in onore dell’Amico di casa renano, saggio iniziale del suo bellissimo libro Soggiorno in una casa di campagna (Adelphi. 2012) W. G. Sebald dedica pagine molto sentite allo scrittore di origini svizzere Johann Peter Hebel da lui molto amato. C’è una parte di quel saggio fortemente evocativa. E’ quando Sebald parla di almanacchi, calendari, del nonno:

«… ciò che mi induce di continuo a riprendere in mano Hebel è anche una circostanza del tutto occasionale, ovvero che mio nonno, il cui linguaggio ricordava per molti aspetti quello dell’Amico di casa, alla vigilia di ogni nuovo anno soleva comprare un almanacco di Kempten, sul quale segnava poi con la matita copiativa gli onomastici di parenti e amici, così come il primo gelo, la prima nevicata, l’arrivo del föhn, i temporali, le grandinate e altri analoghi fenomeni, mentre nelle pagine destinate agli appunti prendeva nota, quando se ne dava il caso, anche della ricetta per distillare il vermut oppure l’acquavite di genziana. Certo, le storie redatte da autori come Franz Schronghamer-Heimdahl ed Else Eberhard-Schobacher per le edizioni degli anni Cinquanta dell’almanacco Kempten, fondato a sua volta nel 1773, e che raccontavano per esempio di un pastorello nella valle del Lech oppure di uno scheletro ritrovato in una selva montana, non potevano competere con quelle di Hebel, ma l’impianto dell’Almanacco di famiglia era rimasto senz’altro il medesimo, e le tavole pitagoriche piramidali, le tabelle per i canoni agrari, i nomi dei santi a complemento di ciascuna data, le domeniche e gli altri giorni festivi segnati in rosso, la luna calante e la luna crescente, i simboli dei pianeti e i segni dello zodiaco, così come il Calendario degli Ebrei, la cui pubblicazione, stranamente, non fu soppressa neppure dopo il 1945- tutto questo costituisce ancor oggi per me un sistema, a proposito del quale vorrei talvolta figurarmi, come un tempo quando ero bambino, che in esso ogni cosa sia disposta per il meglio» (Pag. 17-19).

Sebald, poi continua parlando di come il mondo di Hebel fosse un mondo, per lui, tenuto insieme fa un magico equilibrio, dove a una sventura corrispondeva un risarcimento. Leggendo queste pagine fortemente evocative non potevano non venirmi alla mente i ricordi d’infanzia, unica vera nostra patria. Ricordo quando, da bambino, sfogliavo almanacchi, calendari, il lunario parmigiano che, tuttora, esiste. Riportava l’ora in cui nasceva e tramontava il sole, gli spostamenti dei pianeti, la luna, i momenti migliori della semina, l’alternarsi delle stagioni. Conteneva anche brevi e gustosi aneddoti sulla storia di Parma. Io sfogliavo il lunario, lo leggevo, fantasticavo di quanto accadeva fuori, in natura, nelle notti d’inverno, nelle notti d’estate che avevano già il profumo di vacanza. Era come se il lunario sostituisse le fiabe e desse libero sfogo all’immaginazione. Almanacchi, calendari, oggetti d’antan che hanno esercitato sempre un grande fascino su di me e che oserei collocare in quegli oggetti desueti di cui Francesco Orlando parla, riferendosi alla letteratura in quello straordinario libro che è Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura (Einaudi. 2015). Ero affascinato da almanacchi, calendari, lunari, provavo una piacevole malinconia a consultarli che, forse, ha anche a che fare con lo scorrere del tempo; come affascinato lo era il saturnino Sebald.
Ma Sebald dice altre cose molto importanti su il Tesoretto dell’Amico renano. Libro che era uscito per la prima volta in edizione integrale nel 1988 per Guanda e ora meritoriamente ripubblicato da Quodlibet (Quodlibet Compagnia Extra. 2019). Con l’ottima traduzione e cura di Alberto Guareschi, già traduttore e curatore delle edizioni Guanda.
Si diceva Sebald. Sebald entra in diretta polemica, nel saggio citato prima sulle interpretazioni che aveva dato Heidegger del Tesoretto:

«… e quanto invece la sua risonanza (di Hebel) fosse vertiginosamente cresciuta non appena i nazisti decisero di accaparrarsi e monopolizzare lo scrittore strapaesano di Wiesenthal. Con quali sproloqui neogermanici ebbe luogo e per quanto tempo si protrasse tale appropriazione indebita ce lo ha raccontato Robert Minder sulla scorta del discorso che Heidegger in onore di Hebel nel 1957; discorso che nel suo intero tracciato non si distingue in nulla da quelli pronunciati durante il regime nazista da personaggi come Josef Weineheber, Guido Kolbenheyer, Hermann Burte, Wilhelm Schafer e altri custodi del retaggio teutonico, i quali erano persuasi che il loro gergo fosse direttamente scaturito dalla favella popolare. Nel 1963, ai miei esordi universitari presso l’ateneo di Friburgo in Brisgovia, solo da poco si era giunti a spazzare tutto ciò sotto il tappeto, e da allora mi sono chiesto sempre più spesso quanto opaca e mendace sarebbe rimasta la nostra idea di letteratura, se gli scritti coevi di Benjamin e della Scuola di Francoforte- una scuola ebraica d’altronde, intesa a investigare la storia sociale e culturale della borghesia-, non ci avessero offerto nuove prospettive. In ogni caso, senza il supporto di Bloch e di Benjamin, io ben difficilmente mi sarei accostato a Hebel, tanto era avvolto questo scrittore dalle brume heideggeriane» (Pag. 16).

Qui la posizione di Sebald è molto dura. In realtà il saggio di Heidegger Hebel l’amico di casa è di grande interesse. Lo possiamo leggere nella traduzione di Francesco Gagliardi e con testo a fronte grazie alle edizioni Aguaplano (Aguaplano. 2012). Forse è uno dei saggi più chiari di Heiddeger (a differenza di alcuni altri su Holderlin); è un saggio in cui egli considera il poeta come “l’amico di casa” e il dialetto svevo, quello in cui scriveva Hebel, come l’essenza del linguaggio perché è nel dialetto che si radica l’essenza del linguaggio. E’ molto interessante vedere quanto il Tesoretto abbia indotto dei conflitti di interpretazione. Questo a indicare la sua importanza nella storia della letteratura. Quando uscì l’edizione Guanda del libro il grande germanista Cesare Cases lo recensì su «L’indice dei libri del mese» entrando in morbida (non saprei che altro termine usare) e rispettosa polemica con Alberto Guareschi. Nel 1961 pubblicò una scelta scolastica del Tesoretto. Era in tedesco con note in italiano. Guareschi ne parla nell’edizione Guanda e riporta quanto scritto in quell’edizione in questa, Quodlibet. Con grande discrezione, per usare la parola utilizzata da Cases, sembra deplorare a Cases di non aver tradotto tutto, ma di aver fatto una scelta. Ad un certo punto della sua recensione Cases scrive:

«… non voglio insistere con Heidegger, autore anche lui di un saggio sul suo corregionale Hebel (come Benjamin, Bloch altri illustri filosofi piò o meno alemanni), sulle profondità abissali della Heimat da cui emerge il linguaggio hebeliano. A parte Heidegger, siamo tutti illuministi (Hebel per primo) e non crediamo in questo fondo oscuro dell’anima contadina che rivela solo nel dialetto. Casomai è vero il contrario, e cioè il profumo intraducibile del linguaggio di Hebel sta nel fatto che esso realizza l’antico sogno della fusione della lingua e del dialetto, del particolare e l’universale; il protendersi del linguaggio “naturale” verso la comunicazione razionale, il trapassare della spontaneità in cultura senza che il primo elemento sia mai rinnegato, Sicché ogni storiella, indipendentemente dal contenuto che può essere banalissimo, diventa già nella formulazione un pezzo di utopia concreta» («L’indice». 1989. N.8).

È vero, siamo tutti illuministi, ma mi si permetta, sperando di non essere interpretato in modo fuorviante, di dire che la posizione di Cases e quella di Heidegger, almeno in questo caso, sono più vicine di quanto non sembrino di primo acchito. E poi, chissà che cosa avrebbe pensato Hebel di questi suoi benevoli lettori , come lui chiamava coloro che leggevano le sue storie. Di benevoli lettori, in effetti, ne ha avuti tanto. E di grande spessore. Più sopra si citava un passo di Sebald in cui parla di Benjamin lettore di Hebel, Benjamin ne era un ammiratore e scrisse di lui ha varie riprese. In Letteratura per l’infanzia contenuto in Burattini, streghe e briganti (Il Melangolo. 1993) Benjamin sostiene:

«Orbene l’elemento decisivo in Hebel, se è possibile per sé cercare di definire con una parola questo incomparabile prosatore capace di fondere in un’unità pressoché imperscrutabile la verbosità dello scrittore epico e la brevità del legislatore, questo elemento decisivo è il riconoscere in Hebel il superamento della morale astratta dell’Illuminismo attraverso quella politica-teologica. Tuttavia, come in lui le cose procedono altro che in maniera casuistica, di caso in caso, così è quasi impossibile darne un’idea se non in modo estremamente concreto. Con un immagine. Quando lui racconta le sue storie è come se l’orologiaio ci mostrasse il meccanismo di un orologio e ci spiegasse e ci chiarisse a una a una le varie molle e rotelline. All’improvviso (la sua morale è sempre improvvisa) egli la gira, e noi vediamo che ora è. E queste storie assomigliano all’orologio anche perché suscitano il nostro primo stupore di bambini e non cessano di accompagnarci per tutta la vita». (Pag. 291-92).

Pagine profonde e pregnanti dove Benjamin ci parla anche di sé e dei suoi micro-racconti. Ma sui micro-racconti di Hebel tornerò dopo.
Altri grandi e benevoli lettori ebbe Hebel. Goethe considerava Ricongiungimento insperato, che chiude l’opera «la più bella storia del mondo». Anche Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura 1981, fu un benevolo lettore di Hebel. Nel 1980 vinse il premio omonimo e, in occasione del conferimento del premio, intitolò la sua prolusione Hebel e Kafka reperibile in Uber die Dichter(Hansen. 2004). In quell’occasione Canetti parlò di Hebel come di un suo grande maestro, della sua prosa fresca e incantevole e raccontò l’episodio divenuto famoso del suo incontro con l’attore Ludwig Hart che possedeva una copia del Tesoretto con dedica da Kafka. Kafka, a proposito di Ricongiungimento insperato, disse che quella era la storia più meravigliosa che ci fosse. Sottolinea Canetti:

«I superlativi di Kafka, come voi signori sapete, sono molto rari».

Si può aggiungere qualcosa a quello che i grandi hanno già detto? Si può aggiungere qualcosa al potere evocativo che hanno sempre avuto in me almanacchi, calendari, lunari e al potere evocativo che hanno le pagine di Hebel, la loro freschezza e questa prosa incantevole così ben resa dalla traduzione di Alberto Guareschi? Si può ritornare forse ai micro-racconti e alla loro perfezione, quella perfezione che aveva tanto affascinato Walter Benjamin. Sono micro-racconti con stupendi scioglimenti finali. Guareschi riporta in nota un’osservazione di Cesare Cases che rifletteva sulla differenza dei racconti di Guerrazzi da quelli di Hebel e in Hebel quelli più brevi da quelli più lunghi:

«Nel Guerrazzi abbiamo un aneddoto che conserva molto del linguaggio parlato: in H. una vera e propria narrazione centrata sull’effetto finale. Nei racconti più lunghi di H. questa concentrazione narrativa è meno evidente perché appaiono le divagazioni e gli elementi ritardanti, ma in realtà è sempre presente» (Pag. 283).

E allora queste micro-narrazioni o narrazioni brevi fanno pensare ad un autore di tutte altre latitudini e nostro contemporaneo, maestro della narrativa breve anche se ha scritto romanzi lunghi e sontuosi: l’argentino Andrés Neuman. Sia nella raccolta Le cose che non facciamo (Sur. 2016), sia nella raccolta Vite istantanee (Sur. 2018) in finale ci sono due appendici che sembrano manuali per la stesura di racconti brevi. Si provi a leggerle e poi a leggere le narrazioni di Hebel. Come in una sorta di distorsione temporale si ha l’impressione che Hebel conoscesse quelle appendici e ne avesse tratto spunto.
Poetici e evocativi sono i racconti che riguardano i pianeti. Ne I pianeti del 1808 Hebel scrive:

«Se stanotte il pianeta chiamato Giove si trova tra due determinate stelle, da domani e per tutto l’anno non sarà mai più tra quelle, bensì in un altro luogo. E’ un po’ come se queste stelle andassero a far visita per qualche tempo alle altre, come se dessero loro la buona notte o il buon giorno senza preoccuparsi troppo del tempo e della marea. Eppure anche queste hanno un loro ordine, proprio come le altre, solo che è un ordine diverso. La maggior parte di esse è nota a ogni lettore di almanacchi, in particolar modo del Centenario» (Pag. 125).

E il Centenario era un almanacco in cui venivano annotate osservazioni metereologiche, il tempo atmosferico, i movimenti astrali.
Hebel vive nel periodo del Romanticismo, ma le sue spiegazioni, le sue narrazioni hanno radici nell’Illuminismo. Non solo, ci sono racconti che dovrebbero farci riflettere e renderci più umili davanti al mistero dell’Universo, quel mistero che anche Pascal aveva affrontato restando sconcertato dall’infinità degli spazi. Narrazioni che ci fanno venire alla mente anche il Leopardi dello Zibaldone, quel Leopardi che sosteneva che noi siamo solo un piccolo punto nell’Universo, quel Leopardi a cui non erano certo estranei i venditori di almanacchi.
Hebel si pone dal punto di vista dell’Altro quando parla di una terra che potrebbe essere vista dal di fuori, quando parla di possibili abitanti della Luna. In Considerazioni sull’Universo. La Luna del 1811 scrive:

«Oltre a ciò, è del tutto possibile che anche quel corpo celeste alberghi ogni sorta di creature ragionevoli e irragionevoli, dalle forme e qualità curiose, capaci di spiegarci tutto molto meglio, e che nella loro notte si rallegrino anch’esse della soave luce terrestre. Forese perfino lassù quella gente semplice crede da chissà quanto che la Terra ruoti intorno alla Luna ed esista solo per loro, e che noi potremmo anche raccontarlo in modo migliore» (Pag. 110-11).

La terra vista dal di fuori porta a un ridimensionamento di quello che vi accade anche se per noi che le guerre, le tragedie, i lutti li abbiamo vissuti in prima persona, diventa davvero molto difficile attuare questo ridimensionamento.
Ancora due accenni: il primo riguarda la descrizione della natura e degli animali. Nella descrizione della Natura e degli avvenimenti che in natura accadono non manca mai la fede in Dio. Eppure questa fede non impedisce a Hebel di dare spiegazioni scientifiche, qualche volta condite da una dose di sana ironia e di comprensione per i creduloni. Si veda titolo di esempio Piogge di varia specie del 1806 (Pag. 67-73) dove eventi apparentemente inesplicabili vengono ricondotti a spiegazioni razionali sena che mai la razionalità abdichi dalla poesia. Poesia sempre presente nella descrizione degli animali. Qui Hebel è delicatissimo, molto rispettoso, quasi lirico. Si prenda, ancora a titolo di esempio il bellissimo Le lucertole del 1808 (Pag.136-40). I codici narrativi non sono mai quelli del fiabesco, ma quelli della favola alla La Fontaine.
Il secondo accenno è al rigorismo morale. Walter Benjamin, nel saggio citato più sopra Letteratura per l’infanzia, scrive del Tesoretto:

«Possediamo tuttavia un capolavoro della produzione moraleggiante ed edificante che al contempo è un capolavoro della lingua tedesca in generale: lo schatz-kastlein (Lo scrignetto dell’amico di famiglia renano)» (Pag. 291).

E’ vero che il Tesoretto è produzione moraleggiante ed edificante, è vero che molte pagine sono permeate da una sorta di rigorismo morale di impronta tipicamente protestante, ma come ogni capolavoro, il Tesoretto trascende ogni tipo di riduzione. Basti pensare ai quattro racconti che Hebel dedica a Zunderlheiner e Zundelfrieder. In questi racconti è manifesta la simpatia per i due ladri, come fa giustamente notare Alberto Guareschi. Sono ladri che non hanno mai commesso reati gravi, che non hanno mai ucciso nessuno, che usano l’astuzia e le loro capacità per sbarcare il lunario. Qui, ma la cosa vale per l’intero libro, il piacere di leggere coincide con il piacere di narrare.
Benevolo lettore, spero che queste mie righe non ti abbiano tediato o spazientito, ma che ti abbiano invogliato a leggere, se non lo hai ancora fatto, quell’autentico capolavoro che è Tesoretto dell’Amico di casa renano.